WARFARIN,ASPIRIN,OR BOTH AFTER MYOCARDIAL INFARCTION

Hurlen M, Abdelnoor M, Smith P, Erikssen J, Arnesen H
N Engl J Med 2002; 347(13):969-74

ABSTRACT:
BACKGROUND: The role of antithrombotic therapy in secondary prevention after myocardial infarction is well established. Although the available literature suggests that warfarin is superior to aspirin, aspirin is currently the more widely used drug. We studied the efficacy and safety of warfarin, aspirin, or both after myocardial infarction. METHODS: In a randomized, multicenter trial in 3630 patients, 1216 received warfarin (in a dose intended to achieve an international normalized ratio [INR] of 2.8 to 4.2), 1206 received aspirin (160 mg daily), and 1208 received aspirin (75 mg daily) combined with warfarin (in a dose intended to achieve an INR of 2.0 to 2.5). The mean duration of observation was four years. RESULTS: The primary outcome, a composite of death, nonfatal reinfarction, or thromboembolic cerebral stroke, occurred in 241 of 1206 patients receiving aspirin (20.0 percent), 203 of 1216 receiving warfarin (16.7 percent; rate ratio as compared with aspirin, 0.81; 95 percent confidence interval, 0.69 to 0.95; P=0.03), and 181 of 1208 receiving warfarin and aspirin (15.0 percent; rate ratio as compared with aspirin, 0.71; 95 percent confidence interval, 0.60 to 0.83; P=0.001). The difference between the two groups receiving warfarin was not statistically significant. Episodes of major, nonfatal bleeding were observed in 0.62 percent of patients per treatment-year in both groups receiving warfarin and in 0.17 percent of patients receiving aspirin (P<0.001). CONCLUSIONS: Warfarin, in combination with aspirin or given alone, was superior to aspirin alone in reducing the incidence of composite events after an acute myocardial infarction but was associated with a higher risk of bleeding. Copyright 2002 Massachusetts Medical Society


WARFARINA, ASPIRINA O ENTRAMBE DOPO INFARTO AL MIOCARDIO

Lo studio norvegese ha affrontato un campo della medicina piuttosto controverso che ha visto nel corso degli ultimi decenni gli entusiasmi per l'anticoagulazione orale alternarsi ad analoghi entusiasmi per la terapia antiaggregante piastrinica nel postinfarto. E' indubbio che sia l'una che l'altra hanno dimostrato effetti positivi nella prevenzione delle recidive, ma non è mai emerso una netta superiorità di un approccio terapeutico sull'altro. Del resto, se ambedue le modalità di profilassi del reinfarto si sono dimostrate indipendentemente efficaci, perché non provare la loro combinazione, magari a dosi più basse in modo da mantenere o, possibilmente, aumentare gli effetti positivi e ridurre gli eventi avversi? Studi su questo punto sono già stati eseguiti, senza peraltro raggiungere una conclusione definitiva. In questo studio sono stati messi a confronto tre modelli terapeutici: aspirina a 160 mg al giorno, warfarin a dose tale da raggiungere la piena scoagulazione (con un INR compreso tra 2,8 e 4,2) e l'associazione aspirina 75 mg più warfarin a dose moderata (INR 2,0-2,5). I risultati, in termini di riduzione di un end point composito costituito da reinfarto e ictus tromboembolico non fatale, sono stati chiaramente a favore della terapia con anticoagulanti orali, rispetto alla sola aspirina. L'associazione aspirina-dicumarolico non ha mostrato di essere superiore a quella con il solo warfarin. Analizzando i dati, sembra comunque di cogliere una leggera differenza a favore dell'associazione, rispetto al solo warfarin, ma l'analisi statistica non ha confermato che il minor numero di eventi cardiovascolari nel gruppo trattato con aspirina e warfarin fosse significativamente diverso da quello osservato nel gruppo trattato con warfarin da solo. Del tutto attesa è stata l'osservazione che gli episodi emorragici gravi, per lo più a carico del tratto gastrointestinale, si siano verificati in maggior misura nei due gruppi trattati con il dicumarolico che in quello trattato con la sola aspirina. Sebbene gli eventi emorragici non fossero mortali, è tuttavia da sottolineare che nei gruppi trattati con warfarin si sono verificate 8 emorragie cerebrali, contro una sola nel gruppo in aspirina. Il costo, in termini di effetti collaterali gravi è dunque stato alto nei gruppi trattati con dicumarolici, ma è comunque da rapportare al risparmio di reinfarti e di tromboembolie cerebrali. Il bilancio finale sembrerebbe positivo e a favore del dicumarolico, ma la mortalità nei tre gruppi di trattamento è rimasta uguale. I risultati di questo studio sono comparabili a quelli di un altro recente studio pubblicato su Lancet (van Es et al., Lancet, 360,109-113,2002) e condotto su 999 pazienti con sindrome coronarica acuta, assegnati casualmente ad un trattamento con aspirina, dicumarolico a dose scoagulante e associazione basse dosi di aspirina con basse dosi di dicumarolico. I due gruppi di pazienti in anticoagulanti orali hanno avuto meno infarti miocardici, ictus cerebrali e morti (end point composito) del gruppo trattato con sola aspirina, con un numero di eventi emorragici maggiori più elevato. Anche in questo caso non è emersa alcuna differenza tra l'efficacia della terapia combinata e quella del solo dicumarolico. I due studi hanno dato un contributo rilevante alla soluzione dell'annosa questione, con la dimostrazione della superiorità dell'anticoagulazione orale rispetto all'aspirina, pur tenendo in conto il rischio di eventi emorragici gravi. Rimane aperta la questione della terapia combinata aspirina-dicumarolico a basse dosi e della terapia con il solo dicumarolico a dosi scoagulanti. Nessuna differenza di effetti protettivi e, soprattutto, nessuna differenza di eventi emorragici tra le due modalità terapeutiche. La scelta del clinico sembra pertanto che si debba orientare verso la terapia con anticoagulanti orali senza preferenze per la scoagulazione classica o per la scoagulazione moderata associata ad aspirina.

Domenico Sommariva - Divisione di Medicina Interna 1, Ospedale G. Salvini, Garbagnate Milanese