NON - STEROIDAL ANTI-INFLAMMATORY DRUGS AND RISK OF SERIOUS CORONARY HEART DISEASE: AN OBSERVATIONAL COHORT STUDY

Frank Thies, Jennifer M C Garry, Parveen Yaqoob, Kittipan Rerkasem, Jennifer Williams, Cliff P Shearman, Patrick J Gallagher,
Philip C Calder, Robert F Grimble

Lancet 2003; 361: 477–85


ABSTRACT:

BACKGROUND:
Non-aspirin, non-steroidal anti-inflammatory drugs (NANSAIDs) have complex effects that could either prevent or promote coronary heart disease. Comparison of the NANSAID rofexocib with naproxen showed a substantial difference in acute myocardial infarction risk, which has been interpreted as a protective effect of naproxen. We did an observational study to measure the effects of NANSAIDs, including naproxen, on risk of serious coronary heart disease. METHODS: We used data from the Tennessee Medicaid programme obtained between Jan 1, 1987, and Dec 31, 1998, to identify a cohort of new NANSAID users (n=181 441) and an equal number of non-users, matched for age, sex, and date NANSAID use began. Both groups were 50-84 years of age, were not resident in a nursing home, and did not have life-threatening illness. The study endpoint was hospital admission for acute myocardial infarction or death from coronary heart disease. FINDINGS: During 532634 person-years of follow-up, 6362 cases of serious coronary heart disease occurred, or 11.9 per 1000 person-years. Multivariate-adjusted rate ratios for current and former use of NANSAIDs were 1.05 (95% CI 0.97-1.14) and 1.02 (0.97-1.08), respectively. Rate ratios for naproxen, ibuprofen, and other NANSAIDs were 0.95 (0.82-1.09), 1.15 (1.02-1.28), and 1.03 (0.92-1.16), respectively. There was no protection among long-term NANSAID users with uninterrupted use; the rate ratio among current users with more than 60 days of continuous use was 1.05 (0.91-1.21). When naproxen was directly compared with ibuprofen, the current-use rate ratio was 0.83 (0.69-0.98). INTERPRETATION: Absence of a protective effect of naproxen or other NANSAIDs on risk of coronary heart disease suggests that these drugs should not be used for cardioprotection.

COMMENTO:

L'obiettivo di questo studio osservazionale era quello di valutare l'influenza degli antinfiammatori non steroidei, diversi dall'aspirina, sul rischio coronarico (infarto miocardico acuto o morte per malattia coronarica). Il problema è di grossa portata, visto l'uso che si fa di questa classe di farmaci. Da un punto di vista teorico ci si può attendere che gli antinfiammatori non steroidei abbiamo lo stesso potere protettivo dell'aspirina, dato che ne condividono in gran parte le proprietà, soprattutto sull'equilibrio delle prostaglandine aggreganti o antiaggreganti, ad effetto vasocostrittivo o vasodilatante. Se poi si tiene in considerazione il fatto che la malattia aterosclerotica è oggi considerata di probabile origine infiammatoria o, comunque in cui i processi infiammatori svolgono un ruolo di rilievo, abbiamo un elemento in più per ritenere di possibile utilità l'uso degli antiinfiammatori. In realtà, le cose non stanno proprio così e questo studio, con tutti i suoi limiti, non ha portato prove dell'utilità degli antinfiammatori più comuni nella prevenzione della cardiopatia ischemica. La facile obiezione è che, a differenza di quanto accade per l'aspirina, gli antinfiammatori vengono usati per periodi di tempo piuttosto brevi o a cicli terapeutici di durata variabile e pertanto i possibili effetti benefici, se mai ce ne sono, sono più difficili da dimostrare. Nello studio è stata presa in considerazione la durata del trattamento, senza però che si potesse evidenziare un effetto diverso sul rischio coronarico di terapie di durata maggiore o minore di 60 giorni.
Uno studio recente con il rofecoxib (N Engl J Med, 2000;343:1520-1528), uno degli inibitori selettivi della cicloossigenasi 2, aveva dimostrato che nei pazienti trattati con il farmaco l'incidenza di infarto del miocardio era di 4 volte superiore a quella che si osservava nei pazienti trattati con un tradizionale antinfiammatorio, come il naprossene (0,4% contro 0,1%). Gli inibitori selettivi della ciclossigenasi 2 non inibiscono la sintesi di trombossano, ma interferiscono con la produzione di prostaciclina e, pertanto, non dovrebbero, nemmeno in via teorica, avere un'azione cardioprotettiva. La differenza dell'incidenza di infarto nei pazienti trattati con rofecoxib e con naprossene è stata considerato più un effetto di una supposta azione protettiva del naprossene che un effetto indesiderato del rofecoxib. L'effetto cardioprotettivo del naprossene e degli altri farmaci antinfiammatori non è stato invece dimostrato e, probabilmente, i risultati dello studio osservazionale americano dovranno indurre a riconsiderare i motivi per cui gli eventi cardiovascolari sono aumentati in corso ti terapia con rofecoxib, a dosaggi superiori ai 50 mg.

Domenico Sommariva - Divisione di Medicina Interna 1, Ospedale G. Salvini, Garbagnate Milanese