2003 EUROPEAN SOCIETY OF HYPERTENSION-EUROPEAN SOCIETY OF CARDIOLOGY GUIDELINES
FOR THE MANAGEMENT OF ARTERIAL HYPERTENSION

J Hypertens 2003: 21:1011-1053

Le Società Europee di Ipertensione (ESH) e di Cardiologia (ESC) hanno di recente predisposto le nuove Linee Guida Europee per la gestione dell'ipertensione. Per la prima volta le linee guida delle società congiunte non rappresentano il semplice adattamento europeo di quelle della World Health Organization/International Society of Hypertension (ISH).
Le linee guida, pubblicate sul Journal of Hypertension di giugno, sono state formalmente presentate a Milano al meeting delle società ISH/ESH.
Il Direttore del Comitato per le linee-guida è il Prof. Mancia, mentre il Prof. Zanchetti è il Direttore del comitato di stesura.
Quest'ultimo ha dichiarato che la filosofia di queste linee-guida è fornire informazione ed educazione, piuttosto che dettare precise indicazioni di prescrizione, lasciando il medico libero di prendere la decisioni in ogni caso individuale; egli attribuisce infatti l'insuccesso delle precedenti versioni nell'essere trasferite alla pratica clinica al fatto che erano troppo schematiche e prescrittive.
Questo nuovo documento differisce molto dalle linee guida americane dello scorso mese, note anche come JNC 7. Tra le differenze principali c'è il mantenimento delle precedente classificazione di ipertensione (ottimale [<120/80 mm Hg], normale [120-129/80-84 mm Hg]; normale-alta [130-139/85-90 mm Hg]), mentre gli americani hanno introdotto il concetto, da molti criticato, di pre-ipertensione, per valori di pressione arteriosa sistolica compresi tra 120 e 139 mm Hg e valori di pressione arteriosa diastolica tra 80 e 89 mm Hg e raccomandano modificazioni dello stile di vita per ridurre i livelli pressori in questi soggetti. La motivazione della scelta del comitato europeo è stata la considerazione che nella decisione medica sul se e come adottare una terapia intensiva deve essere prioritaria la valutazione del rischio cardiovascolare globale individuale. Nei pazienti con diabete o malattie cardiovascolari pregresse la presenza di questi livelli pressori deve essere considerata un segnale per trattare. Il target per questi pazienti deve essere abbassato a 130/80 mm Hg. Nella maggior parte dei paesi europei sono disponibili risorse che permettono l'utilizzo di altri strumenti diagnostici, quali l'ecocardiografia, l'ultrasonografia carotidea, la determinazione di un'eventuale microalbuminuria, utili per meglio definire il rischio individuale.
In merito al trattamento, le linee guida europee considerano tutte le classi di farmaci antipertensivi valide per la terapia iniziale, in quanto gli Autori ritengono che i benefici di un trattamento antipertensivo derivano principalmente dalla riduzione della pressione per sé; in questo senso tutte le classi si sono infatti dimostrate efficaci. Altri fattori avranno un'influenza nella decisione, tra cui il costo dei farmaci, il profilo di rischio cardiovascolare del paziente, la presenza o assenza di danno ad organi bersaglio, di diabete o altre patologie concomitanti e, naturalmente, la preferenza del paziente stesso, aspetto importante per raggiungere una buona compliance. Secondo Zanchetti, comunque, probabilmente da un terzo a tre quarti dei soggetti ipertesi necessita di almeno due farmaci per raggiungere il target di 140/90 mm Hg.
Nel JNC 7 si scrive invece che, in assenza di indicazioni specifiche, i diuretici devono essere utilizzati per iniziare la terapia antipertensiva, basandosi sui risultati dello studio ALLHAT. Il gruppo di Zanchetti ha dedicato una sezione del documento europeo per discutere le limitazioni di questo studio, che sebbene sia stato presentato come il più grande trial in doppio cieco condotto sui pazienti ipertesi, ha ottenuto risultati la cui interpretazione è molto difficile per varie ragioni. Il Dott. Cushman, uno dei membri del comitato di stesura del documento americano, sostiene comunque che la filosofia delle due linee guida è molto simile, mentre differisce il modo di approciarsi ad essa.


Fonte: Servizio di Epidemiologia e Farmacologia Preventiva, Dipartimento di Scienze Farmacologiche, Università degli Studi di Milano