Sever
PS, Dahlöf B, Poulter NR et al.
The Lancet 2003; 361:1149-1158
RIASSUNTO
CONTESTO Ridurre le
concentrazioni ematiche di colesterolo nei soggetti ad alto rischio cardiovascolare
migliora gli esiti. Nessun studio, tuttavia, ha dimostrato i benefici
di una terapia ipolipemizzante nella prevenzione primaria di malattia
coronarica nei soggetti ipertesi normalmente non considerati dislipidemici.
METODI Dei 19.342 pazienti ipertesi (di età compresa tra
i 40 e i 79 anni e con almeno tre fattori di rischio), randomizzati al
trattamento con uno dei due farmaci antiipertensivi valutati nell'Anglo-Scandinavian
Cardiac Outcomes Trial (ASCOT), 10.305 soggetti con valori di colesterolo
totale non a digiuno <6,5 mmol/L sono stati sottoposti in modo
randomizzato al trattamento aggiuntivo con atorvastatina (10 mg) oppure
placebo. È stato pianificato un follow-up di 5 anni, con un end-point
primario rappresentato dall'infarto del miocardio non fatale e da malattia
coronarica (CHD) fatale. I dati sono stati analizzati secondo un'analisi
intention to treat.
RISULTATI La terapia farmacologia è stata interrotta dopo
un follow-up medio di 3,3 anni. In questo arco di tempo, sono stati registrati
100 casi di evento primario nel gruppo trattato con atorvastatina rispetto
ai 154 casi verificatisi nel gruppo placebo (rischio relativo [RR] 0,64;
intervallo di confidenza [IC] 95% 0,50-0,83; p=0,0005). Questo effetto
benefico era visibile già nel primo anno del follow-up. Episodi
di ictus fatale e non fatale (89 casi nel gruppo atorvastatina vs i 121
del gruppo placebo, RR 0,73; 0,56-0,96; p=0,024), di eventi cardiovascolari
complessivi (389 vs 486 rispettivamente, RR 0,79; 0,69-0,90; p=0,0005),
e di eventi coronarici globali (178 vs 247, RR 0,71; 0,59-0,86; p=0,0005)
sono risultati significativamente ridotti. Sono state registrate 185 decessi
nel gruppo in terapia con atorvastatina e 212 nel gruppo placebo (RR 0,870,71-1,06;
p=0,16). Atorvastatina ha abbassato i livelli ematici di colesterolo totale
di circa 1,3 mmol/L rispetto al placebo nell'arco di 12 mesi, e di circa
1,1 mmol/L dopo i tre anni di follow-up.
CONCLUSIONI La riduzione degli eventi cardiovascolari maggiori
in seguito a trattamento con atorvastatina risulta significativamente
ampia e soprattutto considerato il breve periodo di follow-up. Questi
risultati potranno avere ricadute nella formulazione di nuove linee-guida.
COMMENTO
La riduzione dei livelli lipidici con atorvastatina ha diminuito significativamente
il rischio di eventi cardiovascolari maggiori in pazienti ipertesi normocolesterolemici,
come rilevato nello studio ASCOT (Anglo-Scandinavian Cardiac Outcomes
Trial).
Lo studio è stato presentato all'American College of Cardiology
2003 Scientific Sessions il 2 aprile e, contemporaneamente, pubblicato
su The Lancet.
I risultati hanno evidenziato una riduzione significativa del 36% nell'end
point primario combinatodi malattia coronarica (CHD) fatale e infarto
miocardico (IM) non fatale nel gruppo in trattamento con atorvastatina,
dopo un follow-up medio di 3,3 anni. La riduzione degli eventi, sottolineano
gli autori, è importante, considerato il periodo relativamente
breve di follow-up e il fatto che è emersa più precocemente
rispetto agli altri trials condotti con statine. Questi risultati, quindi,
dovrebbero essere tenuti in considerazione nella formulazione di linee-guida
future.
Questo è senza dubbio uno studio molto importante e dovrebbe influire
notevolmente sulla pratica clinica. Illustrando il contesto e il razionale
dello studio, gli autori spiegavano che, sebbene sia ben noto che l'abbassamento
dei livelli di colesterolo nei soggetti ad alto rischio di malattia cardiovascolare
riduce gli eventi, non è stata valutata la diminuzione dei livelli
di colesterolo nella prevenzione primaria della malattia cardiaca (CHD)
in pazienti ipertesi normocolesterolemici.
Lo studio ASCOT è composto da due sottostudi su pazienti ipertesi
- un confronto tra due diversi regimi antipertensivi (che è tuttora
in corso), e uno studio sulle terapie ipolipemizzanti.
Il braccio dello studio ASCOT relativo alle terapie ipolipemizzanti comprendeva
10.305 pazienti ipertesi di età compresa fra 40 e 79 anni, con
almeno altri tre fattori di rischio cardiovascolare e con un livello di
colesterolo totale al di sotto di 6,5 mmol/L (250 mg/dL). Essi sono stati
randomizzati a ricevere 10 mg di atorvastatina o placebo. Il follow-up
era stato programmato per 5 anni, ma il trattamento è stato interrotto
dopo 3,3 anni per i benefici significativi evidenziati nel gruppo in terapia
con atorvastatina. I risultati sono mostrati nella tabella.
RISULTATI DELLO STUDIO
End
point |
Atorvastatina
(%)
|
Placebo
(%)
|
Hazard
ratio
|
P
|
End
point primario |
IM/CHD
fatale |
1,9
|
3,0
|
0,64
|
0,0005
|
Eventi
CV totali/interventi |
7,5
|
9,5
|
0,79
|
0,0005
|
Eventi
coronarici totali |
3,4
|
4,8
|
0,71
|
0,0005
|
Mortalità
per tutte le cause |
3,6
|
4,1
|
0,87
|
0,16
|
Mortalità
CV |
1,4
|
1,6
|
0,90
|
0,50
|
Ictus
fatale/non fatale |
1,7
|
2,4
|
0,73
|
0,02
|
CHF
fatale/non fatale |
0,8
|
0,7
|
1,13
|
0,58
|
End
points secondari |
Eventi
CV totali/interventi |
7,5
|
9,5
|
0,79
|
0,0005
|
Eventi
coronarici totali |
3,4
|
4,8
|
0,71
|
0,0005
|
Mortalità
per tutte le cause |
3,6
|
4,1
|
0,87
|
0,16
|
Mortalità
CV |
1,4
|
1,6
|
0,90
|
0,50
|
Ictus
fatale/non fatale |
1,7
|
2,4
|
0,73
|
0,02
|
CHF
fatale/non fatale |
0,8
|
0,7
|
1,13
|
0,58
|
End
points terziari |
IM
silente |
0,3
|
0,3
|
0,82
|
0,58
|
Angina
instabile |
0,4
|
0,5
|
0,87
|
0,64
|
Angina
cronica stabile |
0,6
|
1,1
|
0,59
|
0,013
|
Malattia
arteriosa periferica |
0,8
|
0,8
|
1,02
|
0,92
|
Aritmia
cronica |
0,2
|
0,1
|
3,31
|
0,05
|
Sviluppo
di diabete |
3,0
|
2,6
|
1,15
|
0,24
|
Sviluppo
di danno renale |
0,6
|
0,5
|
1,29
|
0,35
|
IM=infarto
del miocardio;CV=cardiovascolare;CHF=insufficienza cardiaca congestizia
Dopo
un anno di follow-up, i livelli di colesterolo totale e di LDL nei pazienti
che stavano assumendo atorvastatina erano più bassi, rispettivamente
del 24% e del 35% di quelli dei pazienti nel gruppo placebo. La dose di
atorvastatina non è stata titolata, sebbene dosaggi più
elevati avrebbero prodotto riduzioni maggiori delle concentrazioni plasmatiche
di colesterolo totale e LDL e probabilmente anche diminuzioni più
ampie degli eventi cardiovascolari. Se lo studio fosse proseguito per
un follow-up medio di 5 anni, così come previsto, la riduzione
degli eventi coronarici si sarebbe potuta avvicinare al 50%.
Sono stati osservati piccoli incrementi di aritmie croniche, di insufficienza
cardiaca, danno renale e nuove insorgenze di diabete evidenziati nel gruppo
in trattamento con atorvastatina; secondo gli Autori queste evidenze possono
essere imputabili al numero limitato di eventi verificabili e sono quindi
probabilmente il risultato di variazioni casuali.
La riduzione relativa dell'end point primario era inferiore nei pazienti
diabetici rispetto ai non diabetici; potrebbe essere una sorpresa; gli
Autori sottolineano che siccome si sono verificati solo 84 eventi nei
pazienti diabetici, questo risultato può rispecchiare una potenza
dello studio inadeguata. Anche un utilizzo più alto di statine
fra pazienti diabetici assegnati al gruppo placebo (14%), rispetto ai
non diabetici (8%) può essere stato un fattore causale.
E' stata osservata anche una mancanza apparente di beneficio significativo
legato all'uso di atorvastatina nell'end point primario fra le donne.
Ciò viene nuovamente attribuito al numero ridotto (36) di eventi
occorsi in questo gruppo; viene messo così in luce un potenziale
difetto del trial, che comprendeva principalmente partecipanti maschi
di razza bianca.
Lo
studio ASCOT è simile al trial US ALLHAT, recentemente riportato,
che valutava anch'esso sia i trattamenti antipertensivi che quelli ipolipemizzanti
nei pazienti ipertesi. Nel braccio dell'ALLHAT relativo ai lipidi, 10.355
pazienti ipertesi erano stati randomizzati a 40 mg di pravastatina o a
terapia ordinaria.
I ricercatori dello studio ASCOT sottolineano che le caratteristiche demografiche
dei pazienti al basale inclusi nel braccio dell'ALLHAT relativo alle terapie
ipolipemizzanti differiscono sostanzialmente da quelle nell'ASCOT; l'ALLHAT
infatti comprendeva una coorte leggermente più vecchia, nella quale
circa il 14% dei soggetti aveva una storia di CHD con una proporzione
notevolmente più ampia di donne e individui non di razza bianca.
Nello studio ALLHAT non si evidenziavano apparenti benefici significativi
in termini di mortalità per tutte le cause o eventi coronarici
e ictus legati all'uso di statine. Questo è dovuto ad un uso sostanziale
di statine nel gruppo in terapia convenzionale, che determina differenze
nel livello di colesterolo totale e colesterolo LDL fra i due gruppi solamente
del 9% e 17%, rispettivamente.
Diversamente, nello studio ASCOT, solamente il 9% dei pazienti nel gruppo
placebo ha assunto statine nei tre anni di follow-up. Gli autori collegano
questo dato con il fatto che le concentrazioni lipidiche e i profili di
rischio dei pazienti erano inferiori rispetto a quelli ai quali la terapia
con statine è attualmente raccomandata. Inoltre, solamente il 13%
dei pazienti assegnati ad atorvastatina hanno abbandonato questo gruppo
di trattamento nei tre anni, mantenendo in questo modo l'integrità
e la potenza del disegno originale dello studio.
La
riduzione della mortalità per tutte le cause nello studio ASCOT
(13%) era molto simile a quella osservata nei trial sulla riduzione della
pressione arteriosa (12%), ma gli autori sottolineano che i benefici della
terapia ipolipemizzante si aggiungono a quelli di un buon controllo pressorio.
Questi dati supportano ulteriormente il concetto che le strategie terapeutiche
finalizzate a ridurre l'incidenza di malattie cardiovascolari dovrebbero
dipendere dalla valutazione globale del rischio piuttosto che dai livelli
dei singoli fattori di rischio e che i benefici di una riduzione dei livelli
ematici di colesterolo sono evidenti in tutto il range delle concentrazioni
ematiche di colesterolo.
Nell'editoriale
dei dott. Lindhom e Samuelsson che ha accompagnato la pubblicazione dei
risultati dello studio ASCOT, si sottolinea che sebbene siano state ottenute
riduzioni relative degli eventi cardiovascolari di notevole entità
associate alla terapia ipolipemizzante, il beneficio assoluto non è
elevato. Infatti, in termini assoluti la differenza tra il trattamento
attivo e il placebo nell'incidenza della malattia cardiovascolare è
stata solamente di 3,4 per 1000 anni paziente per l'evento primario e
di 2,0 per 1000 anni paziente per l'ictus. Quindi si può stimare
che la terapia ipolipemizzante possa risultare in un piccolo incremento
nella probabilità di non incorrere in un infarto del miocardio
per 5 anni, dal 95 al 97%, nei pazienti con buon controllo pressorio.
Ciò che gli Autori dello studio auspicano in termini di rivalutazione
delle linee-guida, è da ritenersi prematuro in quanto qualsiasi
cambiamento può essere deciso solo dopo una valutazione accurata
del bilancio tra i benefici assoluti limitati ed i costi derivanti dall'aumento
delle prescrizioni.
Fonte:
SEFAP - Servizio di Epidemiologia e Farmacologia Preventiva (www.sefap.it)
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