RANDOMIZED, DOUBLE-BLIND, PLACEBO-CONTROLLED, PILOT TRIAL OF INFLIXIMAB, A CHIMERIC MONOCLONAL ANTIBODY TO TUMOR NECROSIS FACTOR-ALFA, IN PATIENTS WITH MODERATE-TO-SEVERE HEART FAILURE. RESULTS OF THE ANTI-TNF THERAPY AGAINST CONGESTIVE HEART FAILURE (ATTACH) TRIAL

Chung E. C, Packer M, Lo K. H, Fasanmade A. A, Willerson J. T
Circulation 2003; 107:99-106

RIASSUNTO

CONTESTO I dati preclinici e quelli clinici preliminari hanno suggerito che il fattore alfa di necrosi tumorale (TNF-alfa) può avere un ruolo nell'evoluzione e nella progressione dell'insufficienza cardiaca e che l'inibizione di tale fattore può modificare, positivamente, il corso della malattia. Gli autori di questo lavoro hanno valutato l'efficacia e la sicurezza di infliximab, un anticorpo monoclonale chimerico contro il TNF-alfa in pazienti con insufficienza cardiaca da moderata a grave.
METODI E RISULTATI 150 soggetti con insufficienza cardiaca stabile di classe III o IV secondo la New York Heart Association e con una frazione di eiezione ventricolare sinistra <35%, sono stati randomizzati al trattamento con placebo (n=49), con infliximab 5 mg/kg (n=50) o con infliximab 10 mg/kg (n=51), al tempo 0, a 2 e a 6 settimane dopo la randomizzazione e successivamente seguiti per un follow-up di 28 settimane.
Nessuna delle due dosi di infliximab ha migliorato lo stato clinico dei soggetti a 14 settimane, l'end-point primario dello studio, nonostante la soppressione dei marker dell'infiammazione (Proteina C-reattiva e Interleuchina-6) e un modesto aumento nella frazione di eiezione nei pazienti trattati con 5 mg/kg (p=0,013) del farmaco in esame. Inoltre, dopo 28 settimane, 13 soggetti del gruppo placebo, 10 di quello in terapia con infliximab 5 mg/kg e 20 di quello con infliximab 10 mg/kg, sono stati ricoverati in ospedale per cause diverse. Il rischio combinato di morte per tutte le cause o di ospedalizzazione per insufficienza cardiaca durante le 28 settimane del follow-up è risultato aumentato tra i soggetti che hanno assunto infliximab 10 mg/kg (hazard ratio 2,84 IC 95% 1,01-7,97; pnominale =0,043).
CONCLUSIONI L'antagonismo a breve termine del fattore-alfa di necrosi tumorale con infliximab non migliora le condizioni cliniche di pazienti con insufficienza cardiaca cronica da moderata a grave, e anzi dosi elevate del farmaco peggiorano la situazione patologica.

COMMENTO
I livelli serici del fattore-alfa di necrosi tumorale (TNF-alfa) risultano elevati nei soggetti con insufficienza cardiaca e la percentuale di aumento è direttamente correlata allo stato di gravità della malattia. Il TNF-alfa viene prodotto da un cuore compromesso (probabilmente in seguito ad un aumento dello sforzo della parete del ventricolo) e può contribuire direttamente all'evoluzione e alla progressione dell'insufficienza cardiaca. Il TNF-alfa è responsabile di effetti inotropi negativi e si è visto come topi transgenici, che producono grandi quantità di TNF-alfa a livello del miocardio, sviluppino una disfunzione sistolica. In aggiunta, il TNF-alfa può indurre alterazioni patologiche nel miocardio, incluse il rimodellamento ventricolare, la fibrosi interstiziale e l'apoptosi dei miocardiociti, alterazioni riscontrate nel cuore umano malato.
L'ipotesi che il TNF-alfa sia un fattore deleterio nell'insufficienza cardiaca è anche supportata da uno studio clinico preliminare condotto con Etanercept (una proteina solubile di fusione del recettore p75 del TNF), un antagonista del TNF-alfa. In questo studio pilota, il trattamento con Etanercept era finalizzato a migliorare la funzionalità cardiaca e le condizioni cliniche dei pazienti con sintomi da moderati a severi.
Infliximab è una immunoglobulina G1-k ricombinante, un anticorpo monoclonale chimerico uomo-topo che si lega in modo specifico ed efficace e neutralizza il fattore TNF-alfa solubile e il suo precursore di membrana. Questo si è dimostrato essere un trattamento efficace nel caso del morbo di Crohn's quando le terapie convenzionali risultano inadeguate, come anche nel caso di artrite reumatoide che non risponde in modo adeguato al trattamento con metrotessato. Lo studio ATTACH (Anti-TNF Therapy Against Congestive Heart Failure) è stato disegnato per valutare, in modo preliminare, se l'inibizione del fattore TNF-alfa con infliximab potesse avere degli effetti benefici nei pazienti con insufficienza cardiaca da moderata a severa.
A tal scopo sono stati arruolati 150 soggetti (uomini e donne con un'età >18 anni) con insufficienza cardiaca di classe III o IV associata ad una frazione di eiezione ventricolare sinistra <35%. Al basale sono stati misurati i livelli ematici dei marker infiammatori (TNF-alfa, interleuchina-6 [IL-6 ], proteina C-reattiva [PCR]). I pazienti sono stati sottoposti, in doppio-cieco, al trattamento con infliximab 5 mg/kg (gruppo 1, n=50), infliximab 10 mg/kg (gruppo 2, n=51), oppure placebo (gruppo 3, n=49) immediatamente dopo la randomizzazione, e dopo 2 e 6 settimane.
Sia dopo 14 settimane (end-point primario) che dopo 28 settimane (end-point secondario), non è emersa alcuna differenza significativa tra lo stato clinico dei soggetti trattati con infliximab (entrambe i dosaggi) e quello dei soggetti che hanno assunto placebo.
Tuttavia, si è riscontrata una maggiore tendenza verso un peggioramento delle condizioni cliniche nel gruppo 2 rispetto agli altri, sia riguardo l'end-point primario (22% vs 8% del gruppo placebo e 10% del gruppo 1) che quello secondario (31% vs 14% del gruppo placebo e 16% del gruppo 1). Per quanto concerne i valori ematici dei marker infiammatori, il trattamento con le due dosi di infliximab è risultato associato ad una riduzione delle concentrazioni di PCR e di IL-6 dopo la prima settimana; entrambi i marker sono scesi al di sotto dei valori basali alla 14esima settimana, per poi risalire a livelli normali alla 28esima settimana.
Queste variazioni di concentrazioni sono risultate accompagnate da variazioni nella frazione di eiezione ventricolare sinistra. Alla 14esima (quando i livelli di PCR e di IL-6 erano ridotti) la frazione di eiezione ventricolare sinistra risultava aumentata nei pazienti trattati con infliximab (variazioni medie, rispetto al basale, di 3,5% con 5 mg/kg di infliximab, di 2,1% con 10 mg/kg di infliximab e di 0,8% nel caso del placebo; p=0,039 per il placebo vs infliximab in entrambe le dosi). Alla 28esima settimana (quando i livelli di PCR e di IL-6 stavano risalendo verso il basale) cambiamenti nella frazione di eiezione ventricolare sinistra nei gruppi trattati con il farmaco non si sono dimostrati significativi rispetto al gruppo placebo (aumenti medi, rispetto al basale, di 4,2%, di 1,3% e 3,4% rispettivamente nei gruppi 1, 2 e 3).
Sebbene questo studio sia stato disegnato come un'esperienza pilota, i dati emersi durante il trial non sono in grado di supportare l'utilità di un antagonismo del fattore TNF-alfa con il farmaco infliximab come terapia per l'insufficienza cardiaca cronica, almeno nelle dosi utilizzate. I pazienti trattati con infliximab (5mg/kg o 10 mg/kg per infusione) non hanno mostrato alcun miglioramento in nessuna delle condizioni cliniche sottoposte ad accertamento. Inoltre, il trattamento di pazienti con insufficienza cardiaca cronica da moderata a severa con alte dosi di infliximab (10 mg/kg per infusione) è risultata associata ad un peggioramento dello stato clinico, ad una maggiore probabilità di ospedalizzazione e ad un'alta frequenza di aggravamento dell'insufficienza cardiaca, riportati tutti come effetti collaterali gravi della terapia farmacologica. L'aumento del rischio di comparsa di tali effetti, associato all'uso di alte dosi di infliximab, non è emerso soltanto durante il trattamento, ma è durato per più di 5 mesi dopo la sospensione della terapia.
Come si può spiegare l'effetto negativo, dose-dipendente, di un antagonismo del fattore TNF-alfa sul decorso clinico di soggetti con insufficienza cardiaca? Alcuni lavori hanno suggerito che il trattamento con gli antagonisti del fattore TNF-alfa disponibili potrebbe potenziare la tossicità cardiaca del TNF-alfa. Esposto al TNF-alfa transmembranale espresso dalle cellule, infliximab può causare una lisi delle cellule in presenza del complemento, un effetto, questo gravemente dannoso se si verifica nei miocardiociti di pazienti con insufficienza cardiaca.
E' stato generalmente accettato dalla comunità scientifica che l'attivazione di citochine svolga un ruolo deleterio nell'insufficienza cardiaca, ma è anche concepibile che aumenti dei livelli di TNF-alfa abbiano una capacità adattativi - simile a quella ipotizzata per i peptici natriuretici. Aumentando la produzione di ossido nitrico vascolare, TNF-alfa può avere un ruolo importante nel favorire la sintesi di adrenomedullina e di altri vasodilatatori endogeni e nel facilitare il flusso ematico periferico nei soggetti con insufficienza cardiaca. Inoltre il TNF-alfa può prevenire l'apoptosi nei miociti sottoposti a stress ossidativo e aumentando la produzione di ossido nitrico a livello del miocardio, la citochina in esame può attenuare la risposta ad una stimolazione beta-adrenergica e in tal modo ridurre la tossicità associata ad una prolungata attività del sistema nervoso simpatico. L'esistenza di meccanismi attraverso i quali l'attivazione della citochina può avere degli effetti benefici, modifica la convinzione che il TNF-alfa agisca solo da fattore deleterio nei soggetti con insufficienza cardiaca cronica.
In conclusione, la terapia con infliximab per un periodo superiore alle 6 settimane non induce alcun miglioramento clinico in soggetti con insufficienza cardiaca cronica da moderata a severa seguiti per 28 settimane; inoltre il trattamento con infliximab a dosi elevate (10 mg/kg) risulta associato ad un aumento del rischio di peggiorare l'insufficienza cardiaca. Sebbene questo rischio non sia stato osservato nel caso della somministrazione di infliximab alla dose di 5 mg/kg, non può tuttavia essere escluso.
Questi risultati lasciano irrisolte le questioni sul ruolo del TNF-alfa nell'insufficienza cardiaca e sulla sicurezza dell'uso di antagonisti del TNF-alfa (soprattutto ad alte dosi) per il trattamento di patologie non cardiache in soggetti affetti anche da insufficienza cardiaca da moderata a severa.

Elena Tragni, SEFAP, Dipartimento di Scienze Farmacologiche, Università degli Studi di Milano