Mehler
PS, Coll JR, Estasio R et al.
Circulation 2003; 107:753-756
La patologia vascolare periferica (PAD) è una manifestazione di
aterosclerosi sistemica, la quale viene più frequentemente studiata
a livello della circolazione coronarie-carotidi dove si esprime con infarto
del miocardio o ictus. Tuttavia la PAD alle estremità inferiori
ha una prevalenza rilevante ed un'elevata morbilità e mortalità.
E' stato stimato che negli USA almeno 8-10 milioni di soggetti sono affetti
da questa patologia, causata dai fattori di rischio cardiovascolari standard.
E' noto inoltre che quando si hanno evidenze della presenza di PAD (pressione
arteriosa bassa alla caviglia che si traduce in un basso valore dell'indice
caviglia-brachiale) il rischio di incorrere in eventi cardiovascolari
(infarto, ictus o morte) è molto più alto, anche in assenza
di una storia pregressa di malattie cardiovascolari. E' quindi necessario
sviluppare nuove strategie di intervento indirizzate alla popolazione
affetta da PAD per ridurre il rischio di eventi sistemici.
E' noto da studi randomizzati precedenti che le terapie anti-piastriniche,
in particolare clopidogrel, gli ACE-inibitori, quali ramipril, e le statine,
in particolare simvastatina, riducono l'incidenza di eventi in questi
pazienti. Ciò che ancora non si conosce è l'effetto di un
controllo intensivo della pressione arteriosa (PA) sul rischio di eventi
cardiovascolari nei pazienti con PAD.
A questo scopo è stato disegnato lo studio ABCD (Appropriate
Blood Pressare Control in Diabetes), il cui obiettivo primario era valutare
se un controllo intensivo della PA migliorasse le complicanze macro e
micro-vascolari nel diabete in confronto ad un normale controllo pressorio.
I risultati hanno confermato questa ipotesi.
Sullo stesso campione è stata ora condotta una sottoanalisi per
verificare l'efficacia di questa strategia nei pazienti con PAD.
Più in dettaglio sono stati arruolati 450 pazienti diabetici con
livelli relativamente normali di PA al basale (PA media 135/84 mm Hg);
metà sono stati avviati ad un controllo intensivo della PA con
bloccanti dei canali del calcio o ACE-inibitori, l'altra metà ad
una terapia moderata; il periodo di follow-up è durato 10 anni.
Il primo gruppo ha mostrato una riduzione dei livelli medi di PA a 128/75
mm Hg, il secondo non ha mostrato alcuna variazione. Tra tutti i soggetti
54 erano affetti da PAD. Di questi, i pazienti nel secondo gruppo di intervento
continuavano ad avere un rischio elevato di eventi cardiovascolari, correlato
inversamente al valore dell'indice caviglia-brachiale; nel primo gruppo
invece non si osservavano aumenti del rischio per qualsiasi valore dell'indice,
suggerendo che un controllo più intenso della PA aveva prodotto
un effetto significativo sulla riduzione del rischio di eventi.
Secondo gli autori è emersa anche un'altra importante evidenza
e cioè che l'efficacia finale del trattamento non dipende dal tipo
di farmaco utilizzato, ma da quanto è stata ridotta la PA.
Considerando che nei soggetti con PAD l'ipertensione è sotto-trattata,
ci sono quindi ampi spazi di miglioramento.
Elena Tragni,
SEFAP,
Dipartimento di Scienze Farmacologiche, Università degli Studi di Milano
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