MORTALITY RISK REDUCTION ASSOCIATED WITH SMOKING CESSATION IN PATIENTS WITH CORONARY HEART DISEASE: A SYSTEMATIC REVIEW

Critchley JA, Capewell S
JAMA 2003; 290:86-97

Poichè molti interventi sono oggi disponibili per il trattamento delle malattie coronariche (CHD) è importante che i responsabili della politica sanitaria comprendano i benefici di ciascuno di essi per determinare in modo più efficace dove allocare le risorse.
L'obiettivo di questa review sistematica di studi epidemiologici era di determinare l'entità della riduzione del rischio prodotta dalla cessazione del fumo in soggetti con CHD, che sono facilmente motivabili ad intraprendere questa modificazione dello stile di vita.
Sono stati esaminati 9 database elettronici dal loro inizio fino ad aprile 2003, implementati da contatti con esperti e da studi internazionali di coorte (identificati mediante il Prospective Studies Collaboration).
Gli studi prospettici su pazienti con diagnosi di CHD (infarto miocardico, angina stabile ed instabile, interventi di angioplastica o by-pass) sono stati inclusi se le cause di mortalità erano codificate ed avevano almeno 2 anni di follow-up. La condizione relativa al fumo doveva essere stata determinata dopo la diagnosi di CHD per accertare l'effettiva cessazione.
Due revisori hanno esaminato gli studi in modo indipendente per valutare l'eligibilità, la qualità delle determinazioni ed i rispettivi risultati ed hanno condotto l'estrazione dei dati utilizzando un protocollo standardizzato.
Partendo da una ricerca bibliografica sono state visionate 665 pubblicazioni e sono stati inclusi 20 studi per un totale di 12.603 soggetti. I risultati hanno mostrato una riduzione del 36% del rischio relativo non corretto (RR) di mortalità nei pazienti con CHD che avevano smesso di fumare in confronto a quelli che avevano continuato a fumare (RR 0,64; intervallo di confidenza [IC] al 95% 0,58-0,71). I risultati degli studi individuali non differivano di molto, malgrado molte diversità nelle caratteristiche dei pazienti, quali età, sesso tipo di CHD e il periodo in cui l'osservazione era stata condotta. La stima corretta del rischio per questi fattori non differiva sostanzialmente. Molti studi esaminati non raggiungevano una qualità adeguata, ad esempio nel controllo dei fattori confondenti e nella misclassificazione della condizione relativa al fumo. Tuttavia la restrizione delle analisi ai 6 studi con qualità elevata, riguardanti un campione di circa 500 fumatori, ha prodotto solo un piccolo effetto sulla stima del rischio (RR 0,71; IC 95% 0,65-0,77). Pochi studi hanno esaminato numeri rilevanti di soggetti anziani, donne, minoranze etniche o popolazioni di paesi in via di sviluppo.
Gli autori concludono sostenendo nell'attuazione della prevenzione secondaria dovrebbero essere date alle strategie per indurre i fumatori a smettere le stesse priorità e risorse che ricevono gli interventi farmacologici.

Elena Tragni, SEFAP, Dipartimento di Scienze Farmacologiche, Università degli Studi di Milano