EFFETTO DEI LIVELLI DI GLICEMIA BASALE (FG) SUL TASSO DI MORTALITÀ IN PAZIENTI CON E SENZA DIABETE MELLITO (DM) E CORONAROPATIA (CAD) SOTTOPOSTI A INTERVENTO CORONARICO PERCUTANEO (PCI) (1)

Mulhestein JB, Anderson LA, Horne BD, Lavasani F, Allen Maycock CA, Bair TL, Pearson RR, Carlquist JF for the Intermountain Heart Collaborative Study IIHCS
Am Heart J 2003;146:351-358

ABSTRACT

Background:
il DM è predittivo di una maggiore mortalità per pazienti con CAD. E' incerto a quale limite di glicemia si estende questo rischio al di sotto della soglia diagnostica per diabete (FG<126mg/dL).
Metodi: l'obiettivo dello studio era di determinare il rischio associato a FG in una coorte (valutata prospettivamente) di 1612 pazienti con CAD sottoposti a PCI ai quali era stata misurata la FG o che avevano avuto una diagnosi clinica di DM (CDM). I pazienti sono stati suddivisi in 4 gruppi: CDM; no CDM, ma FG>125mg/dL (criteri per DM dell'American Diabetes Association - ADA); alterata FG: 110-125mg/dL (IFG); normale FG, <110mg/dL (NFG). La sopravvivenza è stata valutata per 2.8 ±1.2 anni.
Risultati: L'età media dei pazienti era 62 ±12 anni; 74% erano uomini. Le frequenze diagnostiche erano: CDM, 24%; ADA-DM, 18%; IFG, 19%; NFG, 39%. I tassi di mortalità erano maggiori per pazienti dei gruppi CDM (44/394 [11.2%],p<.0001), ADA-DM (27/283 [9.5%],p<.001), e IFG (20/305 [6.6%],p=.04) rispetto ai pazienti del gruppo NFG (12/630 [1.9%]). L'Analisi ROC ha determinato una FG>109mg/dL come migliore soglia per l'aumento di rischio (sensibilità 81%; specificità 51%). Dopo aggiustamento con analisi di regressione Cox, CDM, ADA-DM a IFG sono rimasti predittori indipendenti di mortalità.
Conclusioni: le anormalità prognosticamente significative di FG sono più frequenti (61%) di quanto atteso in pazienti con CAD sottoposti a PCI. Nonostante la rivascolarizzazione, il rischio associato di mortalità a seppur lievi aumenti di FG è notevole, sottolineando l'importanza di diagnosi e trattamento precoci del rischio correlato alla glicemia.

EDITORIALE

Il DM è considerata una "malattia sociale" poiché coinvolge una notevole percentuale di popolazione e presenta un notevole incremento di prevalenza negli ultimi anni: un grido di allarme è stato lanciato dall'OMS, che parla di vera e propria "epidemia di diabete" essendo atteso un raddoppio dei casi di DM nei prossimi 25 anni. Purtroppo, ancor oggi, una buona percentuale (sino al 50%) di portatori di DM non vengono diagnosticati (2). Inoltre, l'aumento del rischio cardiovascolare associato ad alterazioni del metabolismo glucidico va ben al di sotto della soglia di glicemia attualmente accettata come diagnostica per diabete mellito (3,4). Considerando che il principale rischio di mortalità per i diabetici è rappresentato dalle malattie aterosclerotiche cardiovascolari (che possono colpire sino l'80% dei soggetti con DM tipo 2), si comprende come una ritardata diagnosi o una scarsa attenzione alle alterazioni del metabolismo glucidico possa comportare gravi conseguenze (www.diabetes.org/main/uedocuments/executivesummary.pdf).
Questo lavoro di Muhlestein e Coll. conferma quanto espresso. Come suggerito, poi, dall'Editoriale che l'American Heart Journal dedica alla ricerca (5), si può notare l'elevata frequenza di iperglicemia basale (che interessa il 61% della popolazione studiata senza alcuna precedente selezione). Stupisce anche la notevole percentuale di DM non clinicamente manifesto e non riconosciuto (18%) e di IFG non diagnosticati (19%), segno di carenza diagnostica da parte della medicina di base. Tali pazienti si sommano ad una percentuale comunque elevata di CDM (24%).
Colpisce il dato dell'elevato rischio di mortalità "per tutte le cause" (con 80% di morte cardiovascolare) che si associa alle anomalie della glicemia basale: come in un "crescendo" rossiniano, l'IFG mostra un rischio aumentato di 3.2 volte, l'ADA-DM di 4.1 volte, il CDM di 5.0 volte rispetto alla popolazione "normoglicemica". Infine, è intrigante la dimostrazione che una soglia diagnostica di 110mg/dL risulti ottimale in termini prognostici e di modificazione del rischio coronarico, a conferma dell'attenzione che l'American Diabetes Association e l'OMS hanno voluto sottolineare per le condizioni "pre-diabetiche".
Probabilmente queste osservazioni potranno indurre a una ridefinizione dei criteri diagnostici di diabete mellito, soprattutto se verranno confermate le ipotesi di una riduzione del rischio cardiovascolare da parte di farmaci insulino-sensibilizzanti (come la metformina e i tiazolidinedioni) nei trials clinici attualmente in corso. A tale proposito va ricordato che l'iperglicemia, di per sé, può essere condizione aterogene a causa di un aumento dello stress ossidativo (6), dell'infiammazione vascolare (7), della glicazione non enzimatica delle LDL, apolipoproteine e fattori della coagulazione (8), facilitando la formazione di prodotti finali di glicazione avanzata (AGEs) nella parete vasale e nella matrice vascolare (9).
Anche la "Sindrome Metabolica" (o sindrome dell'insulino-resistenza) comprende l'associazione di numerosi fattori di rischio (iperinsulinemia, ipertrigliceridemia, ridotti livelli di HDL-C, ipertensione arteriosa, obesità addominale) pur se l'iperglicemia basale (anche nel presente studio) dimostra una potenza indipendente quale fattore di rischio di mortalità e pare sia proprio l'iperglicemia (non tanto l'iperinsulinemia) la condizione che giustifica un più elevato rischio cardiovascolare nella complessità della sindrome metabolica.
Si sottolinea comunque, ancora una volta, l'importanza di una maggiore attenzione alla condizione glico-metabolica per valutare il rischio di pazienti coronaropatici (qui sottoposti a procedure di rivascolarizzazione). Peraltro, nell'ampio discorso della prevenzione cardiovascolare, non dobbiamo limitare la nostra attenzione alla gestione della pur importante alterazione della glicemia a digiuno. Il trattamento antiaggregante piastrinico, una terapia "aggressiva" dell'ipertensione arteriosa e della dislipidemia unitamente a una continua educazione a corrette abitudini comportamentali (regolare esercizio fisico, alimentazione equilibrata, abolizione del fumo) mantengono basilare importanza nelle linee guida internazionali per la corretta gestione dei soggetti diabetici (e pre-diabetici) e per pazienti cardiopatici (10,11) .

A.C. Bossi
U.O. Malattie Metaboliche e Diabetologia
Ospedali Riuniti di Treviglio (BG)
S.I.S.A. - Sez. Regionale Lombarda

Bibliografia

1) Mulhestein JB, Anderson LA, Horne BD, Lavasani F, Allen Maycock CA, Bair TL, Pearson RR, Carlquist JF for the Intermountain Heart Collaborative Study IIHCS Group Salt Lake City, Utah: "Effect of fasting glucose levels on mortality rate in patients with and without diabetes mellitus and coronary artery disease undergoing percutaneous coronary intervention" Am Heart J 2003;146:351-358
2) Saydah SH, Loria CM, Eberhardt MS et Al: "Subclinical states of glucose intolerance and risk of death in the U.S. Diabetes Care 2001;24:447-453
3) America Diabetes Association. Report of the Expert Committee on the Diagnosis and Classification of Diabetes Mellitus. Diabetes Care 1997;20:1183-1197
4) World Health Organization. Definition, diagnosis and classification of diabetes mellitus and its complications: part 1: report of a WHO consultation: diagnosis and classification of diabetes mellitus. Geneva, Switzerland: World Health Organization; 1999
5) Keebler ME, McGuire DK: "Subclinical diabetes mellitus: it is really "sub-clinical"? Am Heart J 2003; 146:210-212
6) Giugliano D, Ceriello A, Paolisso G: "Oxidative stress and diabetic complications" Diabetes Care 1996;19;257-267
7) Ford ES: "Body mass index, diabetes, and C-reactive protein among US adults" Diabetes Care 1999;22:1971-1977
8) Lyons TJ: "Lipoprotein glycation and its metabolic consequences" Diabetes 1992;41:67-73
9)
Brownlee m: "Glycation and diabetic complications" Diabetes 1994;43:836-873
10) American Diabetes Association. Clinical Practice Recommendations 2003. Diabetes Care 2003;26 (Suppl.1)
11) Gibbons RJ, Chatterjee K, Daley J et Al. ACC/AHA/ACP-ASIM guidelines for the management of patients with chronic stable angina; a report of the American College of Cardiology/American Heart Association Task Force on Practice Guidelines (Committee on Management of Patients with Chronic Stable Angina). J Am Coll Cardiol 1999;33:2092-2197