FISH
AND LONG-CHAIN OMEGA-3
FATTY ACID INTAKE AND RISK OF CORONARY HEART DISEASE AND TOTAL MORTALITY
IN DIABETIC WOMEN
Hu F.B, Cho E,
Rexrode K.M, Albert C.M, Manson J.E
Circulation 2003; 107:1852-1957
ABSTRACT:
CONTESTO Sebbene numerosi studi di coorte prospettici abbiano evidenziato
una associazione inversa tra consumo di pesce e rischio di cardiopatia
ischemica (CHD) o morte improvvisa per cause cardiache nella popolazione
generale, sono pochi i dati disponibili che interessano soggetti diabetici.
METODI E RISULTATI Gli autori di questo lavoro hanno esaminato
in modo prospettico la correlazione tra assunzione di pesce e di acidi
grassi omega-3, rischio di CHD e mortalità totale in 5103 infermiere
con diagnosi di diabete di tipo 2 ma senza patologie cardiache o neoplastiche
al basale. Tra il 1980 e il 1996 (45845 anni/persona di follow up) sono
stati documentati 362 casi di CHD (141 decessi per CHD e 221 infarti miocardici
non fatali) e 468 morti per tutte le cause. Rispetto alle donne che consumano
raramente pesce (< 1 volta/mese), i rischi relativi [RR] (95% IC) di
CHD corretti per età, fumo, e per gli altri fattori di rischio
coronarico noti, erano 0,70 ( da 0,48 a 1,03) nel caso di consumo di pesce
da 1 a 3 volte al mese, 0,60 (da 0,42 a 0,85) nel caso di 1 volta alla
settimana, 0,64 (da 0,42 a 0,99) nel caso di 2/4 volte alla settimana
e 0,36 (da 0,20 a 0,66) nel caso di 5 o più volte alla settimana
(p per il trend=0,002). Un consumo maggiore di pesce era anche associato
ad un più basso tasso di mortalità totale (RR multivariato=0,48
[da 0,29 a 0,80] se consumato > 5 volte/settimana [p per il trend=0,005]).
Assumere più acidi grassi omega-3 a catena lunga è risultato
correlato ad una più bassa incidenza di CHD (RR=0,69 [95% IC 0,47-1,03],
p per il trend=0,10) e di mortalità totale (RR=0,63 [95% IC 0,45-0,88],
p per il trend=0,02).
CONCLUSIONI includere nella dieta una maggiore quantità
di pesce e di acidi grassi omega-3 a catena lunga determina una più
bassa incidenza di CHD e di mortalità totale tra le donne diabetiche.
COMMENTO:
Il ruolo degli acidi grassi omega-3 a catena lunga nel controllo
e nel trattamento del diabete è stato oggetto di molte pubblicazioni
in letteratura. Sostanzialmente assumere olio di pesce abbassa i livelli
di trigliceridi nei soggetti diabetici. Poiché l'ipertrigliceridemia
rappresenta un sintomo certo di dislipidemia diabetica e un importante
fattore di rischio per la malattia cardiovascolare tra i pazienti diabetici,
l'olio di pesce può avere un ruolo importante nel trattamento dell'ipertrigliceridemia
nei diabetici. In aggiunta, si è visto come l'olio di pesce diminuisca
l'attivazione delle cellule endoteliali e migliori la disfunzione endoteliale
tra i soggetti diabetici.
Altri potenziali effetti benefici degli acidi grassi omega-3 a catena
lunga sul diabete includono una riduzione della aggregazione piastrinica
ed effetti antiaritmici. Inoltre, un maggiore consumo di pesce è
stato correlato ad un più basso rischio di microalbuminuria nei
pazienti con diabete di tipo 1.
Esiste però la possibilità che l'olio possa alterare il
controllo glicemico tra i soggetti diabetici, ma questo effetto collaterale
non è stato dimostrato in due recenti meta-analisi di studi metabolici.
Sebbene numerosi studi di coorte prospettici abbiano evidenziato una associazione
inversa tra consumo di pesce e rischio di cardiopatia ischemica (CHD)
o morte cardiaca improvvisa nella popolazione generale, sono pochi i dati
disponibili riguardanti soggetti diabetici.
Gli autori di questo lavoro hanno quindi esaminato in modo prospettico
la relazione esistente tra consumo di pesce e di acidi grassi omega-3
a catena lunga e l'incidenza di CHD e la mortalità totale tra 5103
donne con diagnosi di diabete mellito di tipo 2 (età compresa tra
i 30 e i 55 anni), incluse nella coorte del Nurses' Health Study. Tra
il 1980 e il 1996 (45845 anni/persona di follow up) sono stati documentati
362 casi di CHD (141 decessi per CHD e 221 casi di infarto miocardico
non fatale) e 468 morti per tutte le cause (161 per CHD o ictus, 172 per
cancro e 135 per altre cause). Se confrontate con le donne diabetiche
che solo raramente mangiano pesce, le pazienti che ne consumano di più
avevano un'età maggiore e un poco più pesanti, meno fumatrici,
più ipertese, con maggiori livelli ematici di colesterolo e assumevano
anche integratori multivitaminici e vitamina E. Il consumo di pesce era
associato positivamente al consumo di frutta e verdura, mentre risultava
inversamente correlato all'assunzione di carne rossa.
Analizzando i rischi relativi [RRs] di CHD e di morte totale rispetto
al consumo di pesce, è emerso, dopo correzione per età e
per gli altri fattori di rischio cardiovascolari, che i RRs (95% IC) erano
0,70 (da 0,48 a 1,02) nel caso di consumo di pesce da 1 a 3 volte/mese,
0,60 (da 0,42 a 0,85) se assunto 1 volta/settimana, 0,65 (da 0,43 a 0,99)
se 2-4 volte/settimana e 0,38 (da 0,21 a 0,68) per > 5 volte/settimana
(p per il trend=0,002). Un maggior consumo di pesce è risultato
associato ad un rischio significativamente più basso sia di CHD
fatale (RR multivariato per 5+/settimana 0,41; 95% IC 0,18-0,94) sia di
infarto miocardico non fatale (RR multivariato per 5+/settimana 0,28;
95% IC 0,11-0,71). Tra quattro differenti tipi di pesce sui quali inizialmente
sono state raccolte informazioni, soltanto il consumo di pesce azzurro
e di gamberetti è risultato inversamente associato al rischio di
CHD (RRs multivariati per > 2 volte/settimana e per < 1 volta/mese,
0,38 [0,05-2,75] nel caso del pesce azzurro e 0,43 [0,06-3,14] nel caso
dei gamberetti).
Passando alla mortalità totale si è visto che i RRs corretti
per età, stili di vita e fattori dietetici, erano rispettivamente
1,0, 0,75, 0,66, 0,67 e 0,48 (p per il trend=0,005). La relazione inversa
è stata osservata sia nella mortalità per cause cardiovascolari
(RR multivariato 0,47; 95% IC 0,21-1,03), sia nei decessi per cause non
cardiovascolari (RR corrispondente 0,50; 95% IC 0,26-0,93).
Anche nel caso degli acidi grassi omega-3 a catena lunga si è potuto
osservare, dopo correzione per età, un rischio significativamente
più basso di CHD (RR 0,67; 95% IC 0,46-0,98; p per il trend=0,03)
legato al consumo di questo alimento.
Il diabete mellito di tipo due è una patologia caratterizzata da
anormalità nel metabolismo lipidico e delle lipoproteine, da un
aumento dell'aggregazione piastrinica e da coagulazione, da una disfunzione
endoteliale e da un maggior rischio di aritmia cardiaca, condizioni patologiche,
queste, tutte correlate ad un aumento nell'incidenza di eventi cardiovascolari
e di mortalità.
Gli acidi grassi omega-3 possono ridurre l'incidenza di CHD e la mortalità
tra i soggetti diabetici attraverso molteplici meccanismi, incluso la
riduzione dei livelli ematici di trigliceridi, l'inibizione dell'aggregazione
piastrinica e gli effetti antiaritmici. In aggiunta, l'olio di pesce può
migliorare la disfunzione endoteliale, un primo segno di aterosclerosi,
soprattutto tra le persone diabetiche.
Oltre agli effetti benefici di natura cardiovascolare, una maggiore assunzione
di pesce può ridurre il rischio di complicanze microvascolari.
In uno studio caso-controllo che ha coinvolto 1150 soggetti con diabete
di tipo I, era emerso che consumare più pesce significava ridurre
in modo efficace il rischio di microalbuminuria.
Sebbene in questo lavoro non sia stata studiata la correlazione tra pesce
e complicanze microvascolari, tuttavia i dati suggeriscono che se si consuma
più pesce, la mortalità per cause non cardiovascolari risulta
minore.
Tenendo presenti i limiti di questo lavoro, primo fra tutti la sua natura
di studio osservazionale, possiamo comunque concludere che i risultati
supportano l'evidenza di una associazione inversa tra consumo di acidi
grassi omega-3 a catena lunga e di pesce e rischio di CHD e mortalità
totale tra le donne diabetiche. Ciò suggerisce quindi che nelle
dieta salutare di un soggetto diabetico dovrebbe rientrare anche l'assunzione
regolare di pesce.
Alberico L. Catapano e Alessandra Bertelli, Dipartimento di Scienze
Farmacologiche, Università degli Studi di Milano
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