CONVERGENCE OF ATHEROSCLEROSIS AND ALZHEIMER'S DISEASE: INFLAMMATION, CHOLESTEROL, AND MISFOLDED PROTEINS

Casserly I, Topol E
The Lancet 2004; 363:1139-1146


RIASSUNTO:
La sindrome di Alzheimer che compare in tarda età è una patologia eterogenea. Nei soggetti anziani, è in aumento l'evidenza che suggerisce un legame tra questa malattia neurodegenerativa, fattori di rischio vascolare ed aterosclerosi. La natura di questo legame resta poco chiara. Alcuni ricercatori hanno suggerito che la sindrome compaia come evento secondario correlato ad aterosclerosi a livello di vasi extracranici o intracranici. È già stato dimostrato anche un effetto tossico dei fattori di rischio vascolare sulla microcircolazione di regioni del cervello suscettibili al fenomeno neurodegenerativo.
Una spiegazione alternativa è che aterosclerosi e Alzheimer siano processi patologici indipendenti ma convergenti. Questa ipotesi risulta supportata da osservazioni che derivano dall'epidemiologia, da elementi patofisiologici e dalle risposte al trattamento in entrambe le malattie. Ciò fornisce un importante punto di partenza per comprendere la patogenesi dell'Alzheimer, soprattutto nei soggetti anziani che presentano fattori di rischio vascolare e apre anche nuove vie per una ricerca di terapie preventive e terapeutiche.

COMMENTO:
La sindrome di Alzheimer è una malattia neurodegenerativa progressiva responsabile della maggior parte dei casi di demenza tra la popolazione dell'0ccidente. Negli Stati Uniti negli ultimi 50 anni si è verificato un rapido aumento nelle morti per Alzheimer ed è stato calcolato che nel 2050 il numero di Americani colpiti da questa malattia neurodegenerativa risulterà triplicato (da 4-6 milioni a 16 milioni). Una tale situazione epidemica ha enormi implicazioni per la società, sia in termini di sofferenza sia in termini di costi.
Nella patogenesi della malattia il primo evento è rappresentato dall'accumulo extraneuronale o intraneuronale, o entrambe, di una proteina con conformazione alterata, il peptide beta-amiloide (Aß), che da il via ad una cascata di fenomeni che causano neurotossicità ed infine la malattia di Alzheimer.

Questo "paradigma" ha le sue origini nelle forme autosomiche dominanti della malattia, riscontrabili nell'1-2% di tutti i casi. Queste forme ereditate sono associate a mutazioni che bloccano l'espressione dei geni che codificano per la proteina precursore dell'amiloide (APP), o per gli enzimi proteolitici che agiscono sull'APP (ad esempio la presenilina 1 e la presenilina 2). Tali mutazioni risultano poi associate ad un aumento della produzione di Aß con conseguente comparsa precoce (early-onset) della malattia, come si verifica tipicamente durante la terza e la quarta decade dell'esistenza di una persona.
La ricerca clinica e di base ha rivelato che la sindrome di Alzheimer non dovrebbe essere trattata come una singola entità nosologica. La malattia in età avanzata, che rappresenta il 90-95% di tutti i casi, differisce dalla stessa patologia che compare però tra soggetti adulti. Nel primo caso esiste infatti una componente eterogenica considerevole, in termini di profili di fattore di rischio, di patogenesi e di risultati neuropatologici. Nei soggetti anziani aumenta l'evidenza di una possibile correlazione tra Alzheimer, fattori di rischio vascolare ed aterosclerosi.

Alzheimer ed Aterosclerosi: fattori di rischio genetici e ambientali comuni
Polimorfismo ApoEe4
Ipercolesterolemia
Ipertensione
Iperomocisteinemia
Diabete mellito
Sindrome metabolica
Fumo
Infiammazione sistemica
Obesità
Età

L'età rappresenta certamente il fattore di rischio dominante sia per l'aterosclerosi che per la sindrome di Alzheimer. Entrambe le patologie sono caratterizzate da lunghi periodi di latenza, durante i quali risultano ben identificabili i segni subclinici della malattia.
L'ipercolesterolemia e l'infiammazione rappresentano i meccanismi dominanti implicati nello sviluppo dell'aterosclerosi; nel caso di Alzheimer sembra che anormalità nell'omeostasi del colesterolo abbiano un ruolo importante nella patogenesi della malattia. In colture cellulari, livelli di colesterolo aumentati e diminuiti promuovono e inibiscono, rispettivamente, la formazione di Aß da APP. Animali nutriti con una dieta ricca in colesterolo mostrano una maggiore immunoreattività di Aß intraneuronale ed in alcuni casi anche placche extracellulari. Infine, un polimorfismo del gene CYP46 (CYP46A1), che codifica per la 24S-colesterol-idrossilasi, e che risulta responsabile di una riduzione dell'attività dell'enzima e di un conseguente aumento dei livelli di colesterolo nel cervello, è correlato all'evidenza istologica di un aumento del deposito di Aß nel lobo temporale mediale e quindi di un maggior rischio di comparsa della sindrome di Alzheimer in tarda età.
Negli ultimi 15 anni la ricerca ha dimostrato l'importanza dell'infiammazione nella patogenesi dell'aterosclerosi e dell'Alzheimer. Il cervello è popolato da microglia in grado di produrre citochine, chemochine, fattori di crescita, enzimi, fattori del complemento e della coagulazione e radicali liberi, e di esprimere sulla propria superficie recettori per i mediatori di reazioni immunitarie.
Accanto alla microglia ritroviamo, nelle zone del cervello colpite dalla malattia, anche un altro tipo di cellula gliale, gli astrociti i quali secernono prodotti pro-infiammatori e proteine di matrice. Sebbene la sequenza precisa degli eventi non sia chiara, questa risposta infiammatoria contribuisce in modo significativo inizialmente ad una disfunzione neuronale ed in seguito alla morte dei neuroni.
Numerosi modelli sperimentali e trial clinici supportano un ruolo modulatorio del sistema renina-angiotensina nel processo aterosclerotico, indipendente dalla sua funzione emodinamica omeostatica. Nella placca aterosclerotica, l'attivazione del recettore AT1 dell'angiotensina ad opera dell'angiotensina II, produce una serie di risposte che aumentano l'infiammazione vascolare, contribuendo alla disfunzione endoteliale e al processo aterogenico. Molti dei componenti del sistema renina-angiotensina sono stati descritti nel cervello umano, inclusi angiotensinogeno, l'enzima di conversione dell'angiotensina, l'angiotensina II e i recettori AT1 e AT2. C'è anche l'evidenza che una super-attivazione del sistema renina-angiotensina cerebrale potrebbe contribuire alla patogenesi dell'Alzheimer; nei ratti, infatti, la somministraz
ione a lungo termine di farmaci inibitori dell'enzima di conversione dell'angiotensina e di antagonisti del recettore AT-1 risulta associata ad un miglioramento della capacità mnemonica. L'attivazione del sistema renina-angiotensina potrebbe contribuire alla malattia neurodegenerativa inibendo il rilascio di acetilcolina dai neuroni corticali oppure promovendo una risposta infiammatoria nel parenchima cerebrale. Tuttavia in contraddizione a questa ipotesi in vitro si osserva che l'enzima che converte l'angiotensina previene l'aggregazione di Aß e che l'inibizione di tale enzima blocca questo effetto.
Alcuni studi randomizzati condotti nell'ambito della prevenzione primaria e secondaria di eventi cardiovascolari e cerebrovascolari hanno sottolineato anche un effetto benefico delle statine sul rischio di comparsa dell'Alzheimer (riduzione del 40-70% del rischio). Nonostante i limiti di questi studi (numerosità del campione, ridotto follow up), resta comunque innegabile la consistenza dei dati osservati. In modelli animali di ischemia cerebrale le statine alterano favorevolmente l'espressione di molecole di adesione prevenendo le interazioni leucociti-endotelio e leucociti-glia, sopprimono la produzione di citochine, inibiscono gli astrociti, le cellule della microglia e l'induzione della sintesi di ossido nitrico sintasi nei macrofagi, e hanno anche un effetto anti-ossidante.
Certamente studi futuri nell'area cardiovascolare dovrebbero comprendere anche sotto-studi specifici sugli effetti di una terapia cardiovascolare a lungo termine (20-30 anni) sulla funzioni cognitive danneggiate dalla sindrome di Alzheimer; ciò permetterebbe infatti di confermare in modo definitivo la correlazione tra aterosclerosi e Alzheimer, due fenomeni patologici indipendenti ma al tempo stesso convergenti.

Alberico L. Catapano e Alessandra Bertelli, Dipartimento di Scienze Farmacologiche, Università degli Studi di Milano