BLOOD PRESSURE DEPENDENT AND INDEPENDENT EFFECTS OF ANTIHYPERTENSIVE TREATMENT ON CLINICAL EVENTS IN THE VALUE TRIAL

Michael A Weber, Stevo Julius, Sverre E Kjeldsen, Hans R Brunner, Steffan Ekman, Lennart Hansson, Tsushung Hua, John H Laragh,Gordon T McInnes, Lada Mitchell, Francis Plat, M Anthony Schork, Beverly Smith and Alberto Zanchetti.
Lancet 2004; 363: 2049–51

ABSTRACT:
The Valsartan Antihypertensive Long-term Use Evaluation (VALUE) trial was designed to test whether, for the same achieved blood pressures, regimens based on valsartan or amlodipine would have differing effects on cardiovascular endpoints in high risk hypertension. But inequalities in blood pressure, favouring amlodipine, throughout the multiyear trial precluded comparison of outcomes. A technique of serial median matching, applied at 6 months when treatment adjustments intended to achieve control of blood pressure were complete, created 5006 valsartan-amlodipine patient pairs matched exactly for systolic blood pressure, age, sex, and the presence or absence of previous coronary disease, stroke, or diabetes. Subsequent combined cardiac events, myocardial infarction, stroke, and mortality were almost identical in the two cohorts, but admission to hospital for heart failure was significantly lower with valsartan. Reaching blood pressure control (systolic <140 mm Hg) by 6 months, independent of drug type, was associated with significant benefits for subsequent major outcomes; the blood pressure response after just 1 month of treatment predicted events and survival.

COMMENTO:
Lo studio VALUE (Valsartan Antihypertensive Long-Term Use Evaluation) è stato concepito per confrontare se, in una popolazione di pazienti ipertesi ad alto rischio cardiovascolare, a parità di riduzione della pressione arteriosa, il valsartan, un' antagonista selettivo dei recettori dell'angiotensina II, potesse ridurre la mortalità e la morbilità cardiaca maggiormente rispetto all'amlodipina, un calcio antagonista, L'ipotesi da testare era che il sartanico potesse ridurre gli eventi cardiaci al di là della sua capacità di ridurre la pressione arteriosa . (Lancet, 2004; 363: 2022-2051). Sono stati arruolati per lo studio 15.245 pazienti, di età >= 50 anni, con ipertensione arteriosa trattata o non trattata e ad alto rischio di eventi vascolari. Lo studio è durato una media di 4.2 anni, interrotto quando almeno 1.450 pazienti avevano raggiunto l'endpoint primario, definito come un insieme di mortalità e morbilità cardiaca.
I risultati dello studio non hanno dimostrato una significativa differenza tra i due gruppi di trattamento sia per quanto riguarda l'endpoint primario (mortalità e morbilità cardiaca) che per quanto riguarda lo stroke, lo scompenso cardiaco e la mortalità totale. L'unica differenza significativa è stata che il valsartan è risultato più efficace rispetto all'amlodipina nel prevenire l'insorgenza di diabete mellito. Questo era già stato dimostrato anche in un precedente trial con un altro sartanico, il losartan (Lancet, 2002; 359: 995-1003). Deve essere però ancora chiarito se questo risultato possa essere dovuto ad una interferenza positiva diretta dei sartanici sul metabolismo insulinico oppure se sia dovuto al fatto che l'amlodipina sembra non avere interferenze sul metabolismo glucidico ed altri farmaci antiipertensivi, come i diuretici o i betabloccanti, lo possono peggiorare.
Nello studio VALUE si deve inoltre evidenziare che, nonostante gli obbiettivi dichiarati, nei due gruppi di trattamento era presente una differenza significativa tra i valori raggiunti di pressione arteriosa, essendo risultato l'effetto antiipertensivo dell' amlodipina maggiore rispetto a quello del valsartan, soprattutto nel primo periodo di trattamento. Infatti nei primi mesi era presente una discrepanza di 4-5 mmHg a favore dell'amlodipina che si è ridotta a 2 mmHg nel corso del trial. Il non raggiungimento di una comparabile riduzione della pressione arteriosa avrebbe potuto in qualche modo inficiare il confronto tra i risultati raggiunti. Gli autori hanno quindi fatto una successiva analisi creando un sottogruppo di 5.006 pazienti scelti in modo tale che fossero comparabili per età, sesso, presenza o assenza di pregresse malattie cardiache, cerebrali e diabete e che avessero effettivamente raggiunto una eguale riduzione della pressione arteriosa nei primi 6 mesi di terapia. I risultati di questa analisi hanno di nuovo confermato che, ai fini di una prevenzione degli eventi, è importante sia ridurre la pressione arteriosa in modo efficace quanto farlo il più rapidamente possibile nel tempo. Infatti il confronto nel raggiungimento degli end-points tra i pazienti "responders" alla terapia nel primo mese rispetto ai "non responders" risulta essere significativamente a favore dei primi. C'è da aggiungere che nei pazienti in trattamento con il valsartan si è avuto un minore bisogno di ospedalizzazione per scompenso cardiaco rispetto ai pazienti in trattamento con amlodipina. Questi risultati sembrano essere in linea con i risultati dello studio CHARM (Lancet 2003; 362: 759-566) in cui il candesartan, in pazienti con scompenso cardiaco, riduce la mortalità cardiovascolare e la necessità di ospedalizzazione per scompenso.
Numerosi studi sono stati finora pubblicati che dimostrano il beneficio sulla mortalità e morbilità cardiaca e cerebrale di una riduzione della pressione arteriosa, ottenuta con l'uso di farmaci antiipertensivi appartenenti a classi differenti e metanalisi di confronto non hanno evidenziato differenze sostanziali tra i diversi farmaci. Anche questa studio ne è una conferma. Rimane quindi ancora aperta la domanda se, a parità di effetto antipertensivo, i differenti farmaci che attualmente abbiamo a disposizione possano avere altri effetti aggiuntivi legati più strettamente al loro intrinseco meccanismo di azione. Finora infatti solo lo studio LIFE (Lancet, 2002; 359: 995-1003) ha dimostrato una superiorità del losartan rispetto all'atenololo in pazienti affetti da ipertrofia ventricolare sinistra. Va peraltro aggiunto che il dosaggio del valsartan utilizzato nello studio VALUE (80-160 mg) era più basso di quello che sembra svolgere un efficace effetto di inibizione del sistema renina-angiotensina (320 mg).

Adriana Branchi - Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi di Milano, Ospedale Maggiore IRCCS, Milano