C-REACTIVE PROTEIN: RISK MARKER OR MEDIATOR IN ATHEROTHROMBOSIS?

Ishwarlal Jialal, Sridevi Devaraj, Senthil K. Venugopal
Hypertension. 2004;44:6-11

ABSTRACT:
Inflammation appears to be pivotal in all phases of atherosclerosis from the fatty streak lesion to acute coronary syndromes. An important downstream marker of inflammation is C-reactive protein (CRP). Numerous studies have shown that CRP levels predict cardiovascular disease in apparently healthy individuals. This has resulted in a position statement recommending cutoff levels of CRP <1.0, 1.0 to 3.0, and >3.0 mg/L equating to low, average, and high risk for subsequent cardiovascular disease. More interestingly, much in vitro data have now emerged in support of a role for CRP in atherogenesis. To date, studies largely in endothelial cells, but also in monocyte-macrophages and vascular smooth muscle cells, support a role for CRP in atherogenesis.
The proinflammatory, proatherogenic effects of CRP that have been documented in endothelial cells include the following: decreased nitric oxide and prostacyclin and increased endothelin-1, cell adhesion molecules, monocyte chemoattractant protein-1 and interleukin-8, and increased plasmin-ogen activator inhibitor-1. In monocyte-macrophages, CRP induces tissue factor secretion, increases reactive oxygen species and proinflammatory cytokine release, promotes monocyte chemotaxis and adhesion, and increases oxidized low-density lipoprotein uptake. Also, CRP has been shown in vascular smooth muscle cells to increase inducible nitric oxide production, increase NFKb and mitogen-activated protein kinase activities, and, most importantly, upregulate angiotensin type-1 receptor resulting in increased reactive oxygen species and vascular smooth muscle cell proliferation.
Future studies should be directed at delineating the molecular mechanisms for these important in vitro observations. Also, studies should be directed at confirming these findings in animal models and other systems as proof of concept. In conclusion, CRP is a risk marker for cardiovascular disease and, based on future studies, could emerge as a mediator in atherogenesis.

COMMENTO:
Da anni ormai alla proteina C reattiva (PCR) viene riconosciuto il ruolo di fattore di rischio per l'aterosclerosi. Una vasta serie di studi ne ha dimostrato il forte potere predittivo nei riguardi delle malattie cardiovascolari, ma ancora oggi le idee non sono ben chiare sul suo significato. I clinici sono abituati a considerare la PCR come un marcatore sensibile, ma aspecifico, di infiammazione. Il suo potere predittivo di eventi cardiovascolari potrebbe derivare proprio da questo, cioè la PCR sarebbe solo un buon indice di attivazione infiammatoria vascolare e pertanto di instabilità della placca aterosclerotica. Ma forse le cose stanno cambiando ed alcuni studi sperimentali suggerirebbero per la PCR un ruolo diretto nella patogenesi dell'aterosclerosi.
Molte sono le novità che riguardano la PCR. Innanzi tutto il luogo di sintesi. Contrariamente a quanto si è creduto fino ad ora, la PCR non viene prodotta solo dagli epatociti, ma anche da altre cellule, tra cui le cellule muscolari lisce ed i macrofagi di cui sono ricche le lesioni ateromasiche. E proprio a livello delle placche arteriose sono state trovate le prove di una produzione locale di PCR. Poi gli effetti della PCR su varie funzioni. E' stato dimostrato che la PCR inibisce la produzione di NO e di prostaciclina, aumenta la produzione di PAI-1, di tissue factor, delle molecole di adesione all'endotelio e di endotelina. Cioè funzioni diverse, ma tutte implicate nei vari stadi della malattia arteriosa, come la disfunzione endoteliale, la vasoreattività, il reclutamento di monociti-macrofagi, l'infiammazione e la coagulazione. Dunque PCR non solo come marcatore generico di danno arterioso, ma anche come elemento patogeneticamente correlato al processo aterogenetico?
La questione non è di poca rilevanza e non investe solo l'aspetto conoscitivo dei meccanismi di base della malattia aterosclerotica. Il fatto che la PCR possa essere ridotta dal calo ponderale e dall'uso di farmaci come le statine, i fibrati, i glitazoni, l'aspirina e forse tanti altri, aprirebbe nuove prospettive di profilassi e di terapia della malattia aterosclerotica. E' troppo presto per sbilanciarsi su questa possibilità. Per ora abbiamo solo dati sperimentali, sono suggestivi, ma devono essere confermati in clinica.

Domenico Sommariva - Divisione di Medicina Interna 1, Ospedale G. Salvini, Garbagnate Milanese