A RANDOMIZED TRIAL OF INTENSIVE LIPID-LOWERING THERAPY IN CALCIFIC AORTIC STENOSIS

Cowell SJ, Newby DE, Prescott RJ, Bloomfield P, Reid J, Northridge DB, Boon NA; Scottish Aortic Stenosis and Lipid Lowering Trial, Impact on Regression (SALTIRE) Investigators.
N Engl J Med. 2005 Jun 9;352(23):2389-97.

ABSTRACT:
BACKGROUND: Calcific aortic stenosis has many characteristics in common with atherosclerosis, including hypercholesterolemia. We hypothesized that intensive lipid-lowering therapy would halt the progression of calcific aortic stenosis or induce its regression.
METHODS: In this double-blind, placebo-controlled trial, patients with calcific aortic stenosis were randomly assigned to receive either 80 mg of atorvastatin daily or a matched placebo. Aortic-valve stenosis and calcification were assessed with the use of Doppler echocardiography and helical computed tomography, respectively. The primary end points were change in aortic-jet velocity and aortic-valve calcium score.
RESULTS: Seventy-seven patients were assigned to atorvastatin and 78 to placebo, with a median follow-up of 25 months (range, 7 to 36). Serum low-density lipoprotein cholesterol concentrations remained at 130+/-30 mg per deciliter in the placebo group and fell to 63+/-23 mg per deciliter in the atorvastatin group (P<0.001). Increases in aortic-jet velocity were 0.199+/-0.210 m per second per year in the atorvastatin group and 0.203+/-0.208 m per second per year in the placebo group (P=0.95; adjusted mean difference, 0.002; 95 percent confidence interval, -0.066 to 0.070 m per second per year). Progression in valvular calcification was 22.3+/-21.0 percent per year in the atorvastatin group, and 21.7+/-19.8 percent per year in the placebo group (P=0.93; ratio of post-treatment aortic-valve calcium score, 0.998; 95 percent confidence interval, 0.947 to 1.050).
CONCLUSIONS: Intensive lipid-lowering therapy does not halt the progression of calcific aortic stenosis or induce its regression. This study cannot exclude a small reduction in the rate of disease progression or a significant reduction in major clinical end points. Long-term, large-scale, randomized, controlled trials are needed to establish the role of statin therapy in patients with calcific aortic stenosis

COMMENTO:
La prevalenza di stenosi aortica calcifica è andata aumentando con l'invecchiamento della popolazione. Escludendo le forme correlate a malformazioni congenite, quali la biscupidia, a disordini degenerativi, a malattia reumatica o a lupus eritematosus sistemico, la forma più comune è quella associata all'età. I fattori che condizionano la presenza di stenosi aortica sono rappresentati oltre che dall'invecchiamento, dall'ipercolesterolemia, dall'ipertensione arteriosa, dal diabete e dal fumo.
Questi pazienti presentano comunemente un danno caratterizzato da degenerazione fibro-calcifica delle cuspidi..
Il primum movens parrebbe essere infatti correlato ad una lesione di un lembo con conseguente accumulo di lipidi, cellule infiammatorie, matrice extracellulare e depositi di calcio. I lipidi depositati sulla valvola, ossidati, favoriscono una progressione verso la distruzione della matrice collagene con conseguente sclerosi dei lembi . Molte sono le evidenze sperimentali a supporto di tali alterazioni in animali trattati con dosi massicce di colesterolo e vitamina D.
Gli inibitori delle idrossimetilglutaril-CoA reduttasi (statine) sono stati proposti per la prevenzione della progressione della stenosi aortica, basandosi sui loro effetti sul colesterolo e sulla infiammazione. Così, se il processo di calcificazione della valvola aortica è del tutto simile a quello dell'ateroclerosi, è stato ipotizzato che le statine potrebbero risultare utili per ritardare la progressione della stenosi. In studi retrospettivi su pazienti era stato infatti dimostrato come, in quelli ipercolesterolemici, si osservasse una più rapida progressione della stenosi aortica in un periodo di 5 anni; in altri tuttavia questi dati non erano confermati.
Gli effetti antiinfiammatori delle statine potrebbero tuttavia, indipendentemente dai livelli di colesterolo, giocare un ruolo importante nella prevenzione della stenosi aortica, come descritto in uno studio dal quale si poteva dimostrare una più bassa concentrazione plasmatica di cellule infiammatorie in pazienti con stenosi aortica trattati con statine rispetto a quelli non trattati.
In base a questi presupposti sono stati condotti quattro studi non randomizzati: Shave e coll hanno studiato 65 pazienti, 28 dei quali trattati con statine. Depositi di calcio valvolare sono stati misurati con EBCT- scan di base e dopo trattamento con farmaco o placebo. L'uso della statina era associato ad una significativa riduzione dei depositi di calcio ed a una più lenta progressione della malattia dopo 2.5 anni di trattamento.
Bellomy e coll. hanno studiato la relazione tra livelli di colesterolo e progressione della stenosi aortica in 156 pazienti. Questo studio, sebbene non abbia dimostrato una correlazione tra i livelli di colesterolo e la progressione della stenosi aortica, ha invece evidenziato una più lenta progressione della stenosi in quei pazienti trattati con statine per 3.7 anni.
Novaro e coll. in uno studio retrospettivo su 174 pazienti con stenosi aortica trattati con statine (simva 20 mg, lova 25 mg, prava 23 mg, atorva 14 mg) o placebo hanno dimostrato una significativa più lenta evoluzione della patologia all'eco-doppler nei pazienti trattati con farmaco dopo 21 mesi. All'analisi multivariata le statine si sono dimostrate un predittore indipendente di minor progressione della malattia.
Rosenhek e coll. hanno effettuato uno studio prospettico su 211 pazienti consecutivi. Anche in questo studio sono state utilizzate più statine (simvastatina, atorvastatina, pravastatina). Dopo 6 mesi i pazienti non trattati presentavano un peggioramento emodinamico basato sulla valutazione della massima velocità del Jet aortico. Gli autori hanno sottolineato come il miglior risultato ottenuto con statine non era correlato al tipo di farmaco o al dosaggio utilizzato o alle concentrazioni di LDL colesterolo. Anche in questo studio le statine sono risultate un predittore indipendente di riduzione della progressione della stenosi aortica.
Il presupposto di un comune denominatore fisiopatologico tra stenosi aortica fibrocalcifica e processo arterosclerotico, nonché gli incoraggianti risultati, sia pure ottenuti su casistiche limitate o retrospettive, quasi mai randomizzati, del trattamento con statine nel rallentare la progressione della stenosi aortica fibrocalcifica, giustifica ampiamente il lavoro "A Randomized Trial of Intensive Lipid-Lowering Therapy in Calcific Aortic Stenosis", di S. Joanna Cowell e coll.
Dal punto di vista metodologico, il lavoro appare del tutto corretto, ove si consideri che la scelta della casistica (soggetti con stenosi aortica fibrocalcifica subcritica valutata mediante ecodoppler) è adeguata, che i criteri di esclusione hanno tenuto conto della gravità della patologia valvolare e di altre patologie cardiache concomitanti in grado di interferire nella valutazione dei risultati, dell'intolleranza alle statine o della possibile interferenza di devices; che il protocollo di studio ha previsto periodici controlli clinico-strumentali e che la valutazione dei risultati è stata affidata a singoli operatori sia per quanto riguarda la valutazione ecocardiografica sia per la cardio TC spirale e che l'analisi statistica è del tutto corretta.
Gli end points primari dello studio sono stati di tipo strumentale e clinico.
Il primo è basato sulla valutazione delle variazione della velocità di flusso transvalvolare aortico all' ECOdoppler e sulla progressione delle calcificazioni con cardio TC; il secondo di tipo clinico riguardava la mortalità cardiovascolare, la necessità di sostituzione valvolare, la ospedalizzazione attribuibile alla stenosi aortica severa, oltre alla mortalità totale e alle ospedalizzazioni per ogni causa.
Purtroppo i risultati attesi si sono confermati solo per quanto riguarda la riduzione delle concentrazioni del LDL colesterolo nei pazienti trattati con atorvastatina e per quanto riguarda l'end point clinico, che pur non raggiungendo valori significativi, ha dimostrato una minore incidenza di morte cardiovascolare, di sostituzione valvolare aortica e di ospedalizzazione per stenosi aortica severa.
Dati sovrapponibili tra placebo e trattamento si sono osservati per la valutazione della progressione della stenosi o della calcificazioni valvolare.
Gli autori ritengono che l'assenza di risultati positivi potrebbe dipendere dai criteri di inclusione dei pazienti, soprattutto di quelli in stadi avanzati nei quali la riduzione dei lipidi non è in grado di influenzare la malattia. Tuttavia nessun risultato positivo è stato osservato anche nei pazienti con stenosi di grado lieve-moderato. Un' ulteriore ipotesi è che la durata del follow-up non sia stata sufficiente per osservare dei risultati positivi, anche se nei pazienti seguiti più a lungo (circa tre anni) non si è osservata una variazione degli end-points. Gli autori inoltre sottolineano alcuni aspetti fisiopatologici coinvolgenti il calcio, ipotizzando che il processo aterosclerotico valvolare possa essere influenzato da ulteriori fattori indipendenti dall'ipercolesterolemia, quali quelli connessi al continuo stress meccanico cui è sottoposta la valvola ed inoltre ipotizzano che, a differenza dall'aterosclerosi valvolare la stenosi aortica è associata a un assenza di proliferazione delle cellule muscolari lisce e di infiltrazione di macrofagi carichi di lipidi, essendo più precoce il processo di deposito di calcio.
Gli autori, a mio parere, hanno solo sfiorato in discussione un punto fondamentale condizionante la negatività dei risultati. Se è vero che il processo aterosclerotico può presentare placche diverse nei vari distretti, alcune caratteristiche sono tuttavia comuni, in particolare la proliferazione delle cellule muscolari lisce, la presenza di colesterolo ed esteri del colesterolo intra ed extra cellulare e di cellule infiammatorie di tipo macrofagico, di detriti necrotici e, più o meno, di calcificazioni, ulcerazioni, trombosi ed emorragie. Tuttavia esistono differenze sostanziali tra quella che noi oggi indichiamo come "placca vulnerabile" e quella stabile, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti flogistici.
Nella forma "instabile", linfociti e monociti attivati sono in grado di produrre effetti distruttivi soprattutto quando la quantità di materiale lipidico è abbondante, quando questo è perossidato ed i macrofagi vanno incontro a fenomeni di "homing parietale". In questo caso il danno risulta di tipo autoaggravante, in quanto il monocita macrofago accumula più materiale di quello fisiologicamente previsto, coinvolgendo anche altri elementi cellulari, quali linfoiciti e neutrofili che attivano l'endotelio e bioumorali quali anticorpi antilipoproteine ossidate, citochine, fattori di crescita, di chemiotassi e di attivazione del complemento.
A mio avviso, e anche sulla base delle evidenze cliniche relative alla riduzione di mortalità cardiovascolare, le statine trovano la loro naturale collocazione essendo esse in grado da un lato di ridurre l'LDL colesterolo e dall'altro di modulare positivamente i fenomeni di attivazione endoteliale, infiammatori e protrombotici. Ciò potrebbe, in accordo con gli autori, essere possibile in una fase molto precoce di danno valvolare, ove questi processi hanno una verosimile predominanza patogenetica.
Parzialmente differente è il discorso relativo ad una alterazione fibrocalcifica cronica, ove il quadro aterosclerotico potrebbe essere assimilabile a quello della "placca stabile", in cui predomina la lesione fibrocalcifica a basso contenuto lipidico e a scarsa cellularità e infiammazione.
Questa ipotesi potrebbe spiegare i risultati osservati in tale studio. E' d'altra parte noto come l'innesco, il mantenimento e la progressione della placca possano essere dovuti non solo alla dislipidemia, ma anche ad altri fattori genetici od acquisiti. E' tuttavia probabile che un approccio precoce al problema " aterosclerosi" con l'utilizzo di una statina possa dare risultati favorevoli, come per altro sottolineato anche dagli autori. In tal senso è auspicabile uno studio multicentrico allargato, condotto su pazienti con stenosi aortica iniziale e coronaropatia, al fine di verificare se la stenosi fibrocalcifica aortica e la "placca" coronarica riconoscano la stessa matrice patogenetica.

Stefano Giustiniani, U.O.C. di Cardiologia ed Unità Coronarica, Ospedale Civile di Sondrio