EFFECT OF VKORC1 HAPLOTYPES ON TRANSCRIPTIONAL REGULATION AND WARFARIN DOSE

Rieder MJ, Reiner AP, Gage BF, Nickerson DA, Eby CS, McLeod HL, Blough DK, Thummel KE, Veenstra DL, Rettie AE
N Engl J Med. 2005 Jun 2;352(22):2285-93.

ABSTRACT:
BACKGROUND: The management of warfarin therapy is complicated by a wide variation among patients in drug response. Variants in the gene encoding vitamin K epoxide reductase complex 1 (VKORC1) may affect the response to warfarin.
METHODS: We conducted a retrospective study of European-American patients receiving long-term warfarin maintenance therapy. Multiple linear-regression analysis was used to determine the effect of VKORC1 haplotypes on the warfarin dose. We determined VKORC1 haplotype frequencies in African-American, European-American, and Asian-American populations and VKORC1 messenger RNA (mRNA) expression in human liver samples.
RESULTS: We identified 10 common noncoding VKORC1 single-nucleotide polymorphisms and inferred five major haplotypes. We identified a low-dose haplotype group (A) and a high-dose haplotype group (B). The mean (+/-SE) maintenance dose of warfarin differed significantly among the three haplotype group combinations, at 2.7+/-0.2 mg per day for A/A, 4.9+/-0.2 mg per day for A/B, and 6.2+/-0.3 mg per day for B/B (P<0.001). VKORC1 haplotype groups A and B explained approximately 25 percent of the variance in dose. Asian Americans had a higher proportion of group A haplotypes and African Americans a higher proportion of group B haplotypes. VKORC1 mRNA levels varied according to the haplotype combination.
CONCLUSIONS: VKORC1 haplotypes can be used to stratify patients into low-, intermediate-, and high-dose warfarin groups and may explain differences in dose requirements among patients of different ancestries. The molecular mechanism of this warfarin dose response appears to be regulated at the transcriptional level.

COMMENTO:
Tutti coloro che quotidianamente devono affrontare il problema della terapia anticoagulante ben sanno le difficoltà che tale terapia comporta per il medico e per il paziente. Anche controlli frequenti dell'attività protrombinica non sempre mettono al riparo da sotto o sovradosaggi con rischio di eventi tromboembolici o di emorragie spesso critiche. La variabilità della risposta al dicumarolico è alta tra i soggetti e anche nello stesso soggetto e dipende da fattori diversi, quali variazioni del peso e dell'alimentazione, malattie intercorrenti e uso contemporaneo di atri farmaci. Tutto ciò rende altamente problematica l'individuazione della posologia del dicumarolico e richiede un frequente aggiustamento della dose. La sensibilità al dicumarolico dipende, oltre che dai fattori contingenti sopracitati, dall'assetto genetico del paziente. Già da tempo è stato osservato che alcune varianti del citocromo P-450 (CYP2C9) comportano un'aumentata sensibilità al dicumarolico in quanto ne determinano un rallentamento della clearance. In termini clinici, la presenza di alleli difettivi si traduce in un rischio molto elevato di emorragie anche per dosi basse di dicumarolico.
Nello studio di Rieder, viene preso in considerazione un diverso aspetto genetico che interferisce ugualmente con la sensibilità ai dicumarolici. E' quello che può essere definito come gene "target" per i dicumarolici, un gene, il VKORC1, che codifica per alcuni meccanismi coinvolti nella riduzione e nel riciclo della vitamina K che sono essenziali per la carbossilazione dei fattori della coagulazione K dipendenti (fattore II, VII, IX e X). Le mutazioni a carico di questo gene comportano resistenza agli anticoagulanti, così che per ottenere un'azione scoagulante si deve ricorrere a dosi massicce di dicumarolici. La varianza della dose di dicumarolico necessaria per ottenere un'efficace scoagulazione è spiegata per circa il 25% dall'aplotipo VKORC1 e per solo il 6-10% dal genotipo CYP2C9.
E' ancora troppo presto per dire se queste osservazioni avranno sviluppi clinici. La terapia anticoagulante con gli attuali farmaci è ancora largamente basata sull'empirismo ed è probabile che tale rimarrà ancora per lungo tempo, a meno che non si abbiano a disposizione farmaci diversi che garantiscano una maggiore predittività e stabilità degli effetti. Al momento si può prevedere che l'applicazione clinica dell'eventuale valutazione del genotipo VKORC1 e CYP2C9 potrà essere soprattutto nell'individuazione della dose iniziale del dicumarolico. Basse dosi per soggetti geneticamente ipersensibili (varianti CYP2C9) e dosi anche molto più alte di quelle attualmente consigliate (5-10 mg) per soggetti resistenti (varianti VKORC1). Dopo di che, la terapia andrà comunque aggiustata con le solite modalità e cioè con controlli frequenti dell'attività della protrombina. L'accertamento della sensibilità al dicumarolico non potrà mai garantire la stabilità della risposta anticoagulante che, come si è detto, è soggetta ad una serie rilevante di fattori che la modificano nel tempo. Il range terapeutico è troppo ristretto ed i rischi sono troppo alti per protrarre il trattamento con dicumarolici senza un costante monitoraggio della risposta.

Domenico Sommariva - Divisione di Medicina Interna 1, Ospedale G. Salvini, Garbagnate Milanese