EFFECTS OF ANTIBIOTIC THERAPY ON OUTCOMES OF PATIENTS WITH CORONARY ARTERY DISEASE
A meta-analysis of randomised Controlled Trials

Andras R, Berger J.S, Brown D.L.
JAMA. 2005 Jun 1;293(21):2641-7.

ABSTRACT:
CONTEXT: Although Chlamydia pneumoniae infection has been associated with the initiation and progression of atherosclerosis, results of clinical trials investigating antichlamydial antibiotics as adjuncts to standard therapy in patients with coronary artery disease (CAD) have been inconsistent.
OBJECTIVE: To conduct a meta-analysis of clinical trials of antichlamydial antibiotic therapy in patients with CAD.
DATA SOURCES: The MEDLINE and Cochrane Central Register of Controlled Trials databases were searched from 1966 to April 2005 for English-language trials of antibiotic therapy in patients with CAD. Bibliographies of retrieved articles were searched for further studies. Presentations at major scientific meetings (2003-2004) were also reviewed. Search terms included antibacterial agents, myocardial infarction, unstable angina, and coronary arteriosclerosis.
STUDY SELECTION: Eligible studies were prospective, randomized, placebo-controlled trials of antichlamydial antibiotic therapy in patients with CAD that reported all-cause mortality, myocardial infarction, or unstable angina. Of the 110 potentially relevant articles identified, 11 reports enrolling 19,217 patients were included.
DATA EXTRACTION: Included studies were reviewed to determine the number of patients randomized, mean duration of follow-up, and end points. End points of interest included all-cause mortality, myocardial infarction (MI), and a combined end point of MI and unstable angina.
DATA SYNTHESIS: Event rates were combined using a random-effects model. Antibiotic therapy had no impact on all-cause mortality among treated vs untreated patients (4.7% vs 4.6%; odds ratio [OR], 1.02; 95% confidence interval [CI], 0.89-1.16; P = .83), on the rates of MI (5.0% vs 5.4%; OR, 0.92; 95% CI, 0.81-1.04; P = .19), or on the combined end point of MI and unstable angina (9.2% vs 9.6%; OR, 0.91; 95% CI, 0.76-1.07; P = .25).
CONCLUSION: Evidence available to date does not demonstrate an overall benefit of antibiotic therapy in reducing mortality or cardiovascular events in patients with CAD.

COMMENTO:
L'infezione da Chlamydia pneumonae è stata correlata da un punto di vista sierologico, patologico e clinico, sia alle fasi iniziali che alla progressione dell'aterosclerosi, come anche allo sviluppo di coronaropatia (CAD). Numerosi trias clinici hanno valutato se una terapia antibiotica contro la Chlamydia pneumonae possa avere un effetto benefico nella prevenzione secondaria di eventi di natura cardiologia in soggetti con CAD stabile e instabile, ma i risultati non sono stati soddisfacenti.
Alcuni ricercatori hanno condotto una meta-analisi di tutti gli studi clinici randomizzati pubblicati (1966-Aprile 2005) che considerano i possibili benefici di un trattamento antibiotico anti-Chlamydia pneumonae in pazienti coronaropatici. Tra tutti gli studi individuati, ne sono stati selezionati 11 che rispondessero a tutti i criteri di inclusione scelti. I soggetti randomizzati in totale erano 19.217 (9613 trattati con farmaco e 9604 con placebo), in percentuale maggiore uomini e di età compresa tra i 60 e i 66 anni. Gli end-point primari erano rappresentati da: morte per tutte le cause, infarto miocardio (IM) e angina instabile (UA); il follow-up variava in realtà da studio a studio, tra i 3 mesi e i 4 anni; il trattamento farmacologico era a base di un solo antibiotico macrolide: roxitromicina o azitromicina o claritromicina o gatifloxacina, a dosaggi variabili.
Il confronto dei dati tra i soggetti trattati con il farmaco oppure con il placebo non ha evidenziato differenze significative nei tre end-point considerati:

L'infezione da Chlamydia pneumoniae è stata associata per la prima volta a CAD e ad IM nel 1998 quando, in uno studio retrospettivo il 68% dei pazienti con IM acuto e il 50% di quelli con CAD cronico erano infatti risultati positivi all'infezione da Chlamydia pneumoniae, con una prevalenza maggiore rispetto ai soggetti controllo. Successivamente è stato osservato anche come questo agente batterico infettasse tutte le cellule coinvolte nell'aterosclerosi e inducesse uno stato infiammatorio all'interno delle placche aterosclerotiche. Inoltre si è visto come una opportuna terapia antibiotica contro Chlamydia pneumoniae migliora la funzionalità dell'endotelio, rallenta la progressione della placca e riduce l'infiammazione.
Uno studio (Gupta et al.) condotto su 60 soggetti è stato il primo ad esaminare gli effetti di questo tipo di approccio farmacologico, evidenziando una riduzione del 68% negli eventi cardiovascolari, inclusa la mortalità. Questi primi risultati positivi hanno spinto poi i ricercatori a verificare la riproducibilità dei dati in coorti più ampie. Tuttavia le differenze nelle caratteristiche dei soggetti arruolati, nel disegno degli studi e nel tipo di antibiotico assunto non hanno permesso di riscontrare analoghi risultati confortanti. La meta-analisi condotta presenta però dei limiti non indifferenti: (1) i dati sono stati estrapolati solo da trial clinici randomizzati ed in quanto tali non possono essere rappresentativi dei pazienti osservati normalmente nella pratica clinica; (2) l'unico antibiotico impiegato è un macrolide e nello specifico solo un fluorochinolone; (3) gli studi considerati sono stati condotti in un periodo in cui la medicina ha fatto grandi passi aventi nella cura delle coronaropatie. È possibile quindi che l'effetto dell'antibiotico-terapia osservato nei trial più recenti fosse in realtà solo mascherato negli studi più vecchi dalla ricerca di altri obiettivi, quali migliorare la sopravvivenza e ridurre gli effetti collaterali dei farmaci utilizzati.
Nonostante i limiti, questa meta-analisi dimostra che la terapia antibiotica anti-Chlamydia pneumoniae non migliora in modo significativo le condizioni dei soggetti con CAD, i quali dovrebbero anzi trarre giovamento da interventi sullo stile di vita (esercizio fisico, perdita di peso e smettere di fumare) e da una ottimizzazione delle terapie farmacologiche (aspirina, anti ipertensivi e ipolipemizzanti e statine).

Alberico L. Catapano e Alessandra Bertelli, Dipartimento di Scienze Farmacologiche, Università degli Studi di Milano