LONG-TERM
OUTCOMES OF CORONARY-ARTERY BYPASS GRAFTING VERSUS STENT IMPLANTATION
Hannan EL, Racz
MJ, Walford G, Jones RH, Ryan TJ, Bennett E, Culliford AT, Isom OW, Gold
JP, Rose EA
N Engl J Med 2005; 352: 2174-83
ABSTRACT:
BACKGROUND: Several studies have compared outcomes for coronary-artery
bypass grafting (CABG) and percutaneous coronary intervention (PCI), but
most were done before the availability of stenting, which has revolutionized
the latter approach.
METHODS: We used New York's cardiac registries to identify 37,212 patients
with multivessel disease who underwent CABG and 22,102 patients with multivessel
disease who underwent PCI from January 1, 1997, to December 31, 2000.
We determined the rates of death and subsequent revascularization within
three years after the procedure in various groups of patients according
to the number of diseased vessels and the presence or absence of involvement
of the left anterior descending coronary artery. The rates of adverse
outcomes were adjusted by means of proportional-hazards methods to account
for differences in patients' severity of illness before revascularization.
RESULTS: Risk-adjusted survival rates were significantly higher among
patients who underwent CABG than among those who received a stent in all
of the anatomical subgroups studied. For example, the adjusted hazard
ratio for the long-term risk of death after CABG relative to stent implantation
was 0.64 (95 percent confidence interval, 0.56 to 0.74) for patients with
three-vessel disease with involvement of the proximal left anterior descending
coronary artery and 0.76 (95 percent confidence interval, 0.60 to 0.96)
for patients with two-vessel disease with involvement of the nonproximal
left anterior descending coronary artery. Also, the three-year rates of
revascularization were considerably higher in the stenting group than
in the CABG group (7.8 percent vs. 0.3 percent for subsequent CABG and
27.3 percent vs. 4.6 percent for subsequent PCI).
CONCLUSIONS: For patients with two or more diseased coronary arteries,
CABG is associated with higher adjusted rates of long-term survival than
stenting.
SINTESI
DELLO STUDIO:
Pochi sono gli studi osservazionali e solo quattro e di limitata numerosità
(da 123 a 1205 pazienti per singolo studio) i trial randomizzati che hanno
messo a confronto l'intervento di bypass coronarico (coronary-artery bypass
grafting: CABG) con la procedura di rivascolarizzazione coronarica per
via percutanea (percutaneous coronary intervention: PCI) con impianto
di stent (stenting) nel trattamento dei pazienti con malattia coronarica.
In questo ampio studio osservazionale sono stati utilizzati i database
di due registri della città di New York, uno cardiochirurgico,
il Cardiac Surgery Reporting System (37212 pazienti), ed uno cardiologico,
il Percutaneous Coronary Intervention Reporting System (22102 pazienti).
Lo studio ha incluso i pazienti residenti a New York con coronaropatia
multivasale (definita come stenosi ³70% di almeno 2 delle 3 coronarie
principali) sottoposti a CABG o a PCI con impianto di stent tra il 1°
gennaio 1997 e il 31/12/2000. Endpoint primario è stato la mortalità
totale a lungo termine valutata dopo aggiustamento per le differenze di
distribuzione delle variabili di rischio preprocedurali. Endpoint secondario
è stato la mortalità a lungo termine nei pazienti con diabete
e nei pazienti con o senza disfunzione ventricolare sinistra (FE <40%
o ³40%, rispettivamente). L'analisi è stata stratificata in
base al numero delle coronarie malate (2 o 3), al coinvolgimento (del
tratto prossimale o non prossimale) o no della coronaria interventricolare
anteriore (IVA), ottenendo 5 sottogruppi anatomici (2 vasi coronarici
senza coinvolgimento dell'IVA, 2 vasi con malattia dell'IVA non prossimale
o dell'IVA prossimale, 3 vasi con malattia dell'IVA non prossimale o dell'IVA
prossimale). Il follow-up mediano è stato 1.9 anni nel gruppo CABG
e 1.6 anni nel gruppo stenting. Trattandosi di studio osservazionale le
caratteristiche basali dei 2 gruppi hanno presentato differenze significative
per diverse variabili. Per esempio, il gruppo CABG ha presentato minore
FE mediana e maggiore prevalenza di pneumopatia cronica ostruttiva, diabete
e coronaropatia a carico di 3 vasi.
Dopo aggiustamento per le diverse variabili prognostiche preprocedurali,
il gruppo CABG è risultato associato a probabilità significativamente
maggiore di sopravvivenza a 3 anni rispetto al gruppo stenting in tutti
i sottogruppi anatomici (hazard ratio compreso tra 0.76 nei pazienti con
malattia di 2 vasi e coinvolgimento dell'IVA non prossimale e 0.64 nei
pazienti con malattia di 3 vasi e coinvolgimento dell'IVA prossimale).
Tale beneficio è risultato indipendente dalla presenza o no di
diabete o di disfunzione ventricolare sinistra ad eccezione dei sottogruppi
di pazienti con malattia di 2 vasi e FE <40% senza coinvolgimento dell'IVA
o con coinvolgimento dell'IVA non prossimale nei quali i valori di hazard
ratio sono risultati 0.95 e 1.01, rispettivamente. Inoltre il rischio
a 3 anni di rivascolarizzazione (chirurgica o per via percutanea) è
risultato considerevolmente maggiore nel gruppo stenting rispetto al gruppo
CABG (in rapporto di 26:1 per quanto riguarda il rischio di nuovo CABG
e di 6:1 per quanto riguarda il rischio di nuovo PCI).
COMMENTO:
Punti di forza di questo lavoro sono l'elevata numerosità e la
durata relativamente prolungata del follow-up. Numerosi sono peraltro
i limiti dello studio. Alcuni sono suggeriti in modo esplicito dagli stessi
autori oppure sono desumibili direttamente dall'analisi dello studio e
comprendono: 1) il carattere osservazionale dello studio, non controllato
e randomizzato; 2) l'analisi della sopravvivenza non ha incluso i pazienti
morti prima di essere sottoposti alla procedura di rivascolarizzazione:
pertanto l'eventuale peso prognostico negativo riferibile ad un ritardo
dell'esecuzione della procedura non risulta quantizzabile da tale studio;
3) i risultati dello studio non sono applicabili ai pazienti con coronaropatia
monovasale (poiché questi sono trattati nella grande maggioranza
dei casi con PCI), ai pazienti con malattia del tronco comune (stenosi
>50%) (di regola trattati con CABG), ai pazienti già sottoposti
a procedura di rivascolarizzazione e a quelli con IMA nelle precedenti
24 ore, poiché queste categorie di pazienti sono state escluse
dallo studio; 4) lo studio non tiene conto, inevitabilmente, della rapida
evoluzione dello 'stato dell'arte' di entrambe le procedure rappresentate,
in particolare, dalla disponibilità degli stent a rilascio di farmaci
(drug-eluting stents: DES) (che hanno permesso, rispetto agli stent metallici,
un abbattimento del rischio di restenosi, almeno nei pazienti non diabetici),
e dall'impiego del CABG senza bypass cardiopolmonare e senza arresto cardiaco
('off pump'). Altri limiti dello studio sono la mancata disponibilità
di dati relativi all'impiego non solo di condotti arteriosi in corso di
CABG (oltre alle arterie mammarie, le arterie radiali e l'arteria gastro-epiploica)
ma anche di importanti metodiche aggiuntive di rivascolarizzazione percutanea
attualmente disponibili [brachiterapia intracoronarica, cutting balloon,
aterectomia rotazionale, dispositivi di protezione distale e prossimale
(la tromboaspirazione, in particolare, avrebbe potuto svolgere un ruolo
particolarmente importante se si tiene conto che il 22.8% dei pazienti
trattati con stenting si trovava in II-VII giorno dopo IMA)]. Inoltre
dallo stretto punto di vista della strategia decisionale, va sottolineato
che molti pazienti possono preferire di essere sottoposti a PCI con impianto
di stent, di per sé gravato da una mortalità intraospedaliera
molto più bassa rispetto al CABG, nella speranza di evitare un
intervento di CABG.
In conclusione questo ampio studio osservazionale presenta molti limiti
e risulta ampiamente 'datato'. Allo stato attuale i riferimenti decisionali
fondamentali nella strategia di trattamento alternativo CABG versus
stenting coronarico dei pazienti con malattia coronarica non acuta sono
desumibili dalle più recenti linee-guida(1) . La rivascolarizzazione
chirurgica con CABG risulta pertanto la procedura elettiva per il trattamento
di tre tipologie di pazienti con malattia coronarica stabile: 1) pazienti
con stenosi critica del tronco comune non protetta da un bypass; 2) pazienti
diabetici con malattia coronarica multivasale; 3) pazienti con occlusione
coronarica totale cronica non attraversata con la guida(1). Nello stesso
tempo risulta di importanza fondamentale sottoporre a continua verifica,
mediante studi controllati e randomizzati, il ruolo di nuove tecniche
di rivascolarizzazione, sia percutanea che chirurgica, potenzialmente
in grado di ridurre mortalità e/o morbilità a lungo termine
dei pazienti con malattia coronarica non acuta.
Bibliografia
1. Task Force per le Procedure Coronariche Percutanee della Società
Europea di Cardiologia. Linee guida per le procedure coronariche percutanee.
Ital Heart J Suppl 2005; 6(7): 427-74.
Emanuele
Cappiello - U.O. Cardiologia, Ospedale Luigi Sacco - Azienda Ospedaliera
- Polo Universitario, Milano
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