PREVALENCE
AND IMPACT OF METABOLIC SINDROME ON HOSPITAL OUTCOMES IN ACUTE MYOCARDIAL
INFARCTION
Zeller
M, Steg PG, Ravisy J, Laurent Y, Janin-Manificat L, L'Huillier I, Beer
JC, Oudot A, Rioufol G, Makki H, Farnier M, Rochette L, Verges B, Cottin
Y; Observatoire des Infarctus de Cote-d'Or Survey Working Group.
Arch Intern Med. 2005;165:1192-1198
ABSTRACT:
BACKGROUND: The impact of metabolic syndrome after acute myocardial infarction
(AMI) has not yet been studied. In a population-based sample of patients
with AMI, we sought to determine the prevalence of metabolic syndrome
in patients with AMI, its impact on hospital outcomes, and to assess the
relative influence of each of the components of the National Cholesterol
Education Program (NCEP) Adult Treatment Panel (ATP) III definition of
metabolic syndrome on the risk of death and heart failure.
METHODS: A total of 633 unselected, consecutive patients hospitalized
with AMI were categorized according to the NCEP ATP III metabolic syndrome
criteria (presence of >/=3 of the following: hyperglycemia; triglyceride
level >/=150 mg/dL [>/=1.7 mmol/L]; high-density lipoprotein cholesterol
level <40 mg/dL [<1.04 mmol/L] in men and <50 mg/dL [<1.30
mmol/L] in women; blood pressure >/=130/85 mm Hg; and waist circumference
>102 cm in men or 88 cm in women).
RESULTS: Among the 633 patients, 290 (46%) fulfilled the criteria for
metabolic syndrome. Patients with metabolic syndrome were older and more
likely to be women. Acute myocardial infarction characteristics and left
ventricular ejection fraction rates were similar for both groups. In-hospital
case fatality was higher in patients with metabolic syndrome compared
with those without, as was the incidence of severe heart failure (Killip
class >II). In multivariate analysis, metabolic syndrome was a strong
and independent predictor of severe heart failure, but not in-hospital
death. Analysis of the predictive value of each of the 5 metabolic syndrome
components for severe heart failure showed that hyperglycemia was the
major determinant (odds ratio, 3.31; 95% confidence interval, 1.86-5.87).
CONCLUSIONS: In an unselected population of patients with AMI, the prevalence
of metabolic syndrome was high. Metabolic syndrome appeared associated
with worse in-hospital outcome, with a higher risk of development of severe
heart failure. Among metabolic syndrome components, hyperglycemia was
the main correlate of the risk of development of severe heart failure
during AMI.
COMMENTO:
Un concetto che negli ultimi tempi ha modificato l'approccio clinico nell'area
cardiovascolare è l'osservazione che più fattori di rischio
contribuiscono in modo sinergico all' aumento del rischio di CHD: si parla
di rischio cardiovascolare globale, più che di singoli fattori.
La sindrome metabolica si presenta con una costellazione di fattori di
rischio lipidici e non lipidici quali obesità, ipertrigliceridemia,
ridotti livelli di colesterolo HDL, ipertensione arteriosa e iperglicemia.
E' stata valutata da Yusuf et al. (1998) la presenza dei 5 fattori di
rischio in 12932 uomini e donne nello studio NHANES I (1971-1975), studio
proseguito fino al 1992. Dai risultati ottenuti si è visto che
la presenza di 3 fattori di rischio triplica il rischio di eventi cardio-vascolari
mentre con 4-5 fattori il rischio aumenta di 5 volte.
Se è ormai di dominio comune che la triade aterogenica identifica
quei pazienti ad alto rischio cardiovascolare, anche in paziente trapiantati
(Senechal M e al. J Heart Lung Transplant. 2005 Jul;24(7):819-26) poco
è noto su prevalenza e impatto della sindrome metabolica in pazienti
infartuati.
Il gruppo di ricercatori francesi ha considerato 811 pazienti infartuati
(su un bacino di utenza di circa 500000 persone) di cui 633 arruolati
nello studio. Tra questi, i 290 (46%) che rientravano nei criteri di sindrome
metabolica avevano una maggior prevalenza di precedente infarto, e livelli
di proteina C reattiva (PCR) molto alti. Durante il ricovero, i pazienti
con sindrome metabolica sono incorsi in eventi cardiaci con una frequenza
doppia rispetto gli altri: la regressione statistica ha identificato la
presenza di sindrome metabolica come causa indipendente dello sviluppo
di insufficienza cardiaca severa, in modo particolare quando nella tripletta
aterogenica sono presenti iperglicemia e basse HDL, anche se di per sè
l'iperglicemia si è dimostrata legata in modo indipendente a shock
cardiaco.
Curioso è il fatto che scompaiano dai predittori statistici altri
fattori di rischio quali l'ipertensione e l'obesità addominale
e questo potrebbe essere dovuto al tipo di popolazione o più semplicemente
al tipo di analisi statistica usata. Gli infartuati con sindrome metabolica
hanno BMI e pressione arteriosa nettamente superiori agli altri pazienti,
addirittura il 79 % ha ipertensione: tali fattori, essendo molto rappresentati,
non distinguono i pazienti che hanno avuto poi insufficienza cardiaca
grave dagli altri.
Per quanto riguarda l'iperglicemia, poi, è noto che la sindrome
metabolica è fortemente associata a insulino-resistenza. In pazienti
con SM, Lteiff A (Circulation. 2005; 112:32-38) ha dimostrato che insulino
resistenza e ipertensione costituiscono i principali determinanti della
disfunzione endoteliale in un centinaio di pazienti, con l'HOMA che sorpassa
quindi la circonferenza addominale come predittore (l'obesità causa
insulino resistenza quindi basta quest'ultima a predire la disfunzione
endoteliale). L'autore riporta differenze etniche nella forza dei due
predittori, con una maggiore importanza dell'insulino-resistenza nei bianchi
rispetto ai neri (anche se i neri hanno una maggior prevalenza di ipertensione).
Ford ES (Diabetes Care. 2005;28:1769-78) ha riportato la stima del rischio
relativo di morte nella popolazione generale: la frazione di rischio attribuibile
alla sindrome metabolica è di circa il 6-7% per la mortalità
per tutte le cause, 12-17% per CVD, e 30-52% per diabete. Questo lavoro
motiva ulteriormente a un controllo dell'insulino-resistenza e dell'obesità
che spesso ne è causa.
Un recente lavoro (Tannock LR. Circulation. 2005; 111:3058-3062) ha descritto
gli effetti di una dieta ricca in colesterolo ( 4 settimane) sui markers
infiammatori nell'uomo: sembra che i livelli di PCR e sieroamiloide (oltre
che quelli del colesterolo non-HDL), aumentino nel gruppo di soggetti
insulino-sensibili ma non in soggetti insulino-resistenti o obesi. Questo
potrebbe supportare l'ipotesi che una dieta ricca in colesterolo possa
indurre uno stress infiammatorio nei soggetti sani simile a quello prodotto
da obesità addominale o insulino-resistenza ed è in linea
con il concetto che il colesterolo sia un forte stimolo pro infiammatorio.
Sara Raselli, Centro Aterosclerosi, Ospedale Bassini, Università
degli Studi di Milano
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