CIRCULATING
ENDOTHELIAL PROGENITOR AND CARDIOVASCULAR OUTCOMES
Werner N, Kosiol
S, Schiegl T, Ahlers P, Walenta K, Link A, Bohm M, Nickenig G.
N Engl J Med. 2005 Sep 8;353(10):999-1007.
ABSTRACT:
BACKGROUND:
Endothelial progenitor cells derived from bone marrow are believed to
support the integrity of the vascular endothelium. The number and function
of endothelial progenitor cells correlate inversely with cardiovascular
risk factors, but the prognostic value associated with circulating endothelial
progenitor cells has not been defined.
METHODS: The number of endothelial progenitor cells positive for CD34
and kinase insert domain receptor (KDR) was determined with the use of
flow cytometry in 519 patients with coronary artery disease as confirmed
on angiography. After 12 months, we evaluated the association between
baseline levels of endothelial progenitor cells and death from cardiovascular
causes, the occurrence of a first major cardiovascular event (myocardial
infarction, hospitalization, revascularization, or death from cardiovascular
causes), revascularization, hospitalization, and death from all causes.
RESULTS: A total of 43 participants died, 23 from cardiovascular causes.
A first major cardiovascular event occurred in 214 patients. The cumulative
event-free survival rate increased stepwise across three increasing baseline
levels of endothelial progenitor cells in an analysis of death from cardiovascular
causes, a first major cardiovascular event, revascularization, and hospitalization.
After adjustment for age, sex, vascular risk factors, and other relevant
variables, increased levels of endothelial progenitor cells were associated
with a reduced risk of death from cardiovascular causes (hazard ratio,
0.31; 95 percent confidence interval, 0.16 to 0.63; P=0.001), a first
major cardiovascular event (hazard ratio, 0.74; 95 percent confidence
interval, 0.62 to 0.89; P=0.002), revascularization (hazard ratio, 0.77;
95 percent confidence interval, 0.62 to 0.95; P=0.02), and hospitalization
(hazard ratio, 0.76; 95 percent confidence interval, 0.63 to 0.94; P=0.01).
Endothelial progenitor-cell levels were not predictive of myocardial infarction
or of death from all causes.
CONCLUSIONS: The level of circulating CD34+KDR+ endothelial progenitor
cells predicts the occurrence of cardiovascular events and death from
cardiovascular causes and may help to identify patients at increased cardiovascular
risk.
COMMENTO:
Nel 1997, Hisner e colleghi dimostrarono per la prima volta nel sangue
periferico di persone adulte, la presenza di precursori endoteliali circolanti
(EPCs). Studi clinici e sperimentali successivi, hanno dimostrato l'importante
ruolo che queste cellule progenitrici svolgono nell'ambito dei processi
di angiogenesi postnatale. I livelli circolanti di questi precursori,
prodotti dal midollo osseo e liberati nel sangue, sembrano riflettere
la capacità riparativa, in senso vascolare, presente in ogni individuo.
Inoltre, il loro numero e la loro funzionalità è correlata
con il valore di rischio cardiovascolare presente in ogni individuo, calcolato
secondo l'algoritmo di Framingham.
Sulla scorta di questo, diversi trials clinici sono stati fatti ed altri
sono attualmente in corso per aumentare il numero di precursori endoteliali
nelle condizioni di danno ischemico tessutale onde migliorarne le potenzialità
riparative.
D'altro canto, il ruolo delle EPCs come marker prognostico nei confronti
degli eventi cardiovascolari non è a tuttora noto.
Nel lavoro di Werner et al., gli Autori hanno valutato in 519 pazienti
affetti da malattia coronaria il valore prognostico che i livelli plasmatici
di EPCs, valutati sia in termini di cellule co-positive per CD34 e per
KDR (recettore-2 del VEGF) sia come numero di e-CFU (endothelial-colony
forming units), hanno nei confronti di alcuni eventi cardiovascolari,
nei 12 mesi successivi all'analisi. Gli Autori hanno dimostrato che i
livelli plasmatici di EPC influenzano la prognosi nei confronti di alcuni
eventi cardiovascolari. In particolare, dopo avere stratificato i pazienti
in tre gruppi a seconda del numero di EPCs presenti (basso, medio, alto),
gli autori hanno dimostrato che ad ogni gruppo corrisponde un differente
rischio di morte per cause cardiovascolari ed un differente periodo di
sopravvivenza libera da eventi cardiovascolari maggiori.
Gli Autori hanno inoltre dimostrato un aumentato numero di interventi
di rivascolarizzazione e di ospedalizzazione nel solo gruppo di pazienti
che presentano bassi livelli di EPCs.
E' da notare tuttavia che i livelli plasmatici di EPC non risultano prognostici
sia nei confronti dell'insorgenza di infarto miocardio acuto sia nei confronti
degli eventi vascolari cerebrali (stroke).
Il lavoro di Werner et Al., quindi, aggiunge un nuovo significato, quello
prognostico, al dosaggio delle EPCs in ogni individuo. Tale lavoro conferma
inoltre la stretta correlazione esistente tra la funzionalità vascolare
ed il numero e la funzione delle EPCs. Infatti, eventi a patogenesi prettamente
vascolare sembrano influenzare/ti dal numero di EPCs. In questa ottica
può essere spiegato il perché la prognosi nei confronti
dell'infarto miocardico e dello stroke non è influenzata dai valori
di EPCs. In tali eventi, infatti, più fattori, oltre a quelli più
prettamente vascolari, sarebbero coinvolti.
D'altro canto, deve inoltre essere sottolineato, è che all'analisi
non cumulativa degli eventi cardiovascolari, solo i bassi livelli di EPCs
hanno significato prognostico negativo.
Questo lavoro quindi non risulta totalmente risolutivo sul significato
prognostico che il dosaggio delle EPCs ha nei confronti degli eventi cardiovascolari.
D'altro canto, questo lavoro solleva due ulteriori aspetti che dovranno
essere risolti dalla ricerca futura. Il primo sarà quello di chiarire
la dinamica di interazione tra funzione vascolare, rischio cardiovascolare
e determinazione del numero delle EPCs. Il secondo aspetto e conseguente
a tutti quelli sollevati finora, è la determinazione di un metodo
semplice, attendibile e riproducibile dell'analisi del numero delle EPCs
usabile nei vari laboratori clinici, fatto questo indispensabile per una
migliore analisi e confronto dei dati ottenuti. Livello questo, a tuttora,
non raggiunto.
Fabio Pellegatta,
Dipartimento di Scienze Farmacologiche, Università degli Studi di Milano
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