Lipidi,
terapia ipolipemizzante e tumore della mammella
Serum lipids, lipid-lowering
drugs, and the risk of breast cancer
Eliassen AH, Colditz GA, Rosner B, Willett WC, Hankinson SE.
Arch Intern Med 2005; 165:2264-2271
Abstract:
BACKGROUND: Experimental evidence suggests that
statins protect against breast carcinogenesis by interrupting cell cycle
progression and promoting apoptosis. Evidence in humans is limited and
inconsistent. The relation between serum cholesterol levels and breast
cancer risk is itself unclear; because cholesterol is the precursor to
sex steroid hormones, higher levels could plausibly increase risk. METHODS:
The associations of statins, general lipid-lowering drugs, and reported
cholesterol levels with breast cancer risk were assessed in the Nurses'
Health Study, with 6 to 12 years of follow-up. A total of 79,994 women
aged 42 to 69 years and free of cancer were followed prospectively for
up to 12 years. Current statin use, including duration, was assessed retrospectively
in 2000 in 75,828 women. Self-reported serum cholesterol level was assessed
prospectively between 1990 and 2000 in 71,921 women. RESULTS: Overall,
we documented 3177 incident cases of invasive breast cancer. Compared
with nonusers, current lipid-lowering drug users experienced similar breast
cancer risk (multivariate relative risk [RR], 0.99; 95% confidence interval
[CI], 0.86-1.13). Current use of statins also was not significantly associated
with breast cancer risk (RR, 0.91; 95% CI, 0.76-1.08). Associations by
duration of current use were similarly null. Self-reported serum cholesterol
levels were not associated with breast cancer risk in postmenopausal women
with levels of 240 mg/dL or higher (> or = 6.22 mmol/L) compared with
less than 180 mg/dL (< 4.66 mmol/L) (RR, 1.04; 95% CI, 0.91-1.17).
CONCLUSION: Overall, these data suggest that serum cholesterol levels
and the use of lipid-lowering drugs in general and of statins in particular
are not substantially associated with breast cancer risk.
Commento:
Le statine
sono farmaci ipolipemizzanti la cui efficacia nella prevenzione primaria
e secondaria delle malattie cardiovascolari è ormai largamente
consolidata. Di recente sono stati pubblicati numerosi lavori che ipotizzano
un'azione diretta delle statine nella carginogenesi. I risultati di questi
studi sono tuttavia conflittuali: taluni dimostrerebbero una riduzione
del rischio di insorgenza di alcuni tumori nei pazienti che utilizzano
in terapia cronica le statine (studi retrospettivi suggeriscono tale azione
nei tumori della mammella, della prostata, del polmone e del colon), altri,
per contro, documentano un effetto neutro delle statine sull'insorgenza
di neoplasia. I risultati degli studi di intervento in prevenzione primaria
e secondaria delle malattie cardiovascolari condotti sinora, come documentato
anche dall'ampia metanalisi pubblicata su JAMA nel gennaio 2006, sembrano
confermare quest'ultima ipotesi. Studi sperimentali hanno dimostrato che
le statine, oltre ad inibire selettivamente l'HMG-CoA reduttasi, enzima
chiave nella sintesi del colesterolo, esercitano un'azione antinfiammatoria,
inibiscono l'angiogenesi, la proliferazione cellulare, la sintesi di selenoproteine
e l'attività delle cellule natural killer e sono inoltre in grado
di indurre l'apoptosi: effetti che contrasterebbero la crescita tumorale.
In aggiunta studi in vitro dimostrerebbero un'azione sinergica delle statine
con i farmaci chemioterapici in alcuni tipi di neoplasie. La complessità
degli effetti metabolici esercitati dai tumori è peraltro ampiamente
documentata: numerosi studi osservazionali su popolazione hanno evidenziato
una curva J di correlazione tra livelli plasmatici di colesterolo ed incidenza
di neoplasia, ai due estremi della curva (per livelli elevati o molto
bassi di colesterolo) l'incidenza di neoplasia risulta maggiore. Tuttavia
la correlazione inversa tra livelli di colesterolo e tumore, nella maggior
parte di tali studi, si annullava dopo i primi due anni di osservazione
rendendo plausibile l'ipotesi che l'ipocolesterolemia fosse un indice
preclinico del tumore (è noto che le cellule in attiva replicazione
hanno un fabbisogno aumentato di colesterolo) piuttosto che un evento
causale; e ciò trovava conferma dal rilievo di livelli di colesterolo
particolarmente ridotti nelle neoplasie ematologiche e nei tumori in fase
avanzata in ragione delle elevate esigenze metaboliche di una elevata
massa tumorale. All'estremo opposto della curva l'ipercolesterolemia era
stata associata con un incremento del rischio sia di tumore mammario sia
di tumore del colon: essendo il colesterolo un precursore degli ormoni
steroidei rappresenterebbe il substrato ottimale per un tumore come quello
mammario la cui relazione con gli ormoni steroidei endogeni e di sintesi
è dimostrata. Da ciò anche l'ipotesi che essendo le statine
inibitori della sintesi del colesterolo potrebbero esercitare un'azione
di inibizione sull'insorgenza dei tumori ormono-dipendenti.
L'associazione tra utilizzo cronico di statine ed insorgenza di tumore
mammario è stata valutata retrospettivamente nella popolazione
del Nurses' Health Study, studio osservazionale condotto dal 1976 negli
USA. L'analisi retrospettiva ha interessato 79994 donne di età
compresa tra 42 e 69 anni, la durata del periodo di osservazione variava
da un minimo di 6 ad oltre 12 anni. I livelli di colesterolo plasmatico
sono stati rilevati ogni 2 anni dal 1990 al 2000 in 71921 donne. Nel 2000
un questionario ha documentato l'utilizzo di statine, il tipo e la durata
del trattamento in 75828 partecipanti allo studio. Non sono disponibili
dati sul dosaggio dei farmaci. Dall'analisi sono state escluse le donne
con tumore pregresso. Sono stati registrati 3177 casi di tumore mammario
invasivo tra il 1988 ed il 2000. L'insorgenza di neoplasia non è
risultata correlata né all'utilizzo di statine né alla durata
del trattamento (RR 0,99; 95% CI, 0.86-1.13). L'assenza di correlazione
si è mantenuta dopo inclusione nell'analisi dei casi di tumore
mammario "in situ". Non si è inoltre osservata alcuna
correlazione tra l'assunzione di statine e l'assetto recettoriale della
neoplasia mammaria né con l'istotipo. Non è stata rilevata
alcuna associazione tra terapia ipolipemizzante e tumore mammario neanche
in relazione ai diversi livelli di colesterolo plasmatico, all'età,
al BMI e allo stato di pre-menopausa o post-menopausa. Per escludere l'effetto
preclinico della neoplasia l'analisi è stata ripetuta dopo eliminazione
dei casi di tumore occorsi nei primi due anni di osservazione: ciò
non ha modificato i risultati dello studio. I punti di forza di questa
analisi sono parecchi: la numerosità della casistica, la completezza
dei dati, l'accuratezza dell'analisi, la numerosità dei casi di
tumore mammario occorsi, la durata del follow-up. L'assenza di relazione
tra statine e cancro della mammella emersi da questo studio retrospettivo
risultano peraltro confermati dall'ampia metanalisi degli studi di intervento,
condotti con statine, finalizzata alla ricerca di una possibile correlazione
tra tali farmaci ipolipemizzanti e incidenza di tumore, pubblicata su
JAMA nel gennaio 2006.
E' tuttavia ancora prematuro trarre conclusioni definitive, è pertanto
auspicabile che vengano intrapresi studi prospettici, controllati e finalizzati
a chiarire un eventuale effetto inibente di tali farmaci sull'insorgenza
di tumore.
Anna Maria Fiorenza
- Responsabile del Centro
Prevenzione e Cura dell'Aterosclerosi, A.O. "G. Salvini",
Garbagnate Milanese
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