LINEE-GUIDA PER LA REFERTAZIONE
DEI LIVELLI PLASMATICI DI LIPIDI E LIPOPROTEINE

Alberico L. Catapano, Carlo Franzini, Giovanni Galli, Maria Stella Graziani, Ugo Lippi,
Alberto Notarbartolo, Andrea Poli, Michele Schinella

(Gruppo di lavoro SIBioC, SIMeL e SISA Sezione Regionale Lombarda)

PREMESSA

I dati dell'epidemiologia osservazionale dimostrano in modo inequivocabile come la relazione tra la colesterolemia totale e LDL e l'incidenza di eventi coronarici sia continua e crescente nell'intero ambito delle concentrazioni plasmatiche di questi parametri. La relazione tende infatti ad appiattirsi nei paesi industrializzati per valori della colesterolemia totale inferiori a 150-180 mg/dL (3,9-4,7 mmol/L), ma in aree geografiche con differente distribuzione del rischio coronarico (per esempio la Cina continentale), essa mantiene un'apprezzabile pendenza, e quindi una significativa capacità di predire il rischio coronarico stesso, anche per valori più bassi.
Analogamente, i dati epidemiologici mostrano l'esistenza di una correlazione negativa, pure continua e decrescente, tra i valori della colesterolemia HDL e la probabilità di eventi coronarici. Per quanto concerne la trigliceridemia, la correlazione è positiva, ma in molti studi essa appare solo in analisi univariata, e scompare, in analisi multivariata, dopo l'aggiustamento per altri determinanti di rischio (specie la colesterolemia HDL).
Gli studi controllati di intervento, d'altra parte, hanno dimostrato la reversibilità di tale relazione di rischio per quanto riguarda colesterolemia totale ed LDL: riduzioni della concentrazione plasmatica di questi parametri, indotte mediante farmaci specifici o mediante l'adozione di un appropriato stile di vita, si traducono infatti, se mantenute nel tempo, in riduzioni dell'incidenza di eventi coronarici maggiori, di ampiezza proporzionale alla diminuzione del parametro stesso. L'efficacia di tali interventi di controllo è dimostrata sia in soggetti senza segni clinici di malattia coronarica (e quindi in prevenzione primaria) (1-4) sia in soggetti già coronaropatici (e cioè in prevenzione secondaria) (5-8).
Gli interventi orientati alla modificazione delle altre classi di lipidi e lipoproteine plasmatiche hanno sortito risultati meno univoci. In un recente studio di prevenzione secondaria, condotto in soggetti con valori non elevati della colesterolemia LDL, l'aumento della colesterolemia HDL ed il calo dei trigliceridi, ottenuti mediante l'impiego di un fibrato, hanno ridotto la comparsa di recidive coronariche nel tempo (9), ma in un altro studio condotto con un farmaco della stessa classe l'effetto del trattamento sulla popolazione totale arruolata non è stato significativo sul piano statistico o clinico (10).

Alla luce di questo complesso di informazioni, sono stati elaborati e diffusi, in questi ultimi anni, alcuni documenti internazionali di indirizzo (linee guida) relativi al controllo della colesterolemia (totale e LDL) con obiettivi di prevenzione coronarica. I tre documenti più autorevoli (11,12,13) mostrano importanti e significative analogie concettuali.
Essi suggeriscono infatti che l'iter diagnostico-terapeutico del paziente in esame inizi con la valutazione del suo rischio coronarico globale. Sulla base di tale rischio globale il medico deciderà se intraprendere un trattamento normolipidemizzante, di natura farmacologica o non farmacologica, graduando l'intensità del trattamento in base al livello del rischio coronarico globale identificato. L'intervento terapeutico avrà come obiettivo essenziale la riduzione della colesterolemia LDL, e come obiettivi secondari la modificazione dei valori della colesterolemia HDL e dei trigliceridi plasmatici; per quanto concerne il calo della colesterolemia LDL, in particolare, i documenti ricordati fissano i criteri per stabilire la concentrazione plasmatica che dovrebbe essere raggiunta con la terapia ("valore obiettivo" o "target value"). Bassi valori della colesterolemia HDL, o elevati valori della trigliceridemia rappresenteranno comunque indicatori della presenza di un rischio coronarico maggiore nel paziente che ne sia portatore.
I soggetti con malattia coronarica pregressa (e cioè in prevenzione secondaria) costituiscono, da questo punto di vista, l'area a massimo rischio. Seguono i soggetti con segni clinici o preclinici di aterosclerosi extracoronarica (che nel recente documento statunitense dell'ATP-III sono stati invece accomunati ai soggetti già coronaropatici, sotto la dizione "CHD equivalents", assieme ai soggetti con diabete di tipo 2 o con un rischio di eventi coronarici ³ 20% nei dieci anni successivi), o con fattori di rischio coronarici non lipidici multipli. Nel gruppo a rischio più contenuto stanno i soggetti con alterazioni isolate del profilo lipidico (con l'esclusione delle forme su base genetica, cui si associa un rischio intrinsecamente più elevato).
Recentemente, inoltre, la Commissione Unica per il Farmaco ha rivisto la normativa che regola la rimborsabilità dei farmaci ipolipidemizzanti. La nuova nota 13 si basa essenzialmente sulla classificazione del rischio coronarico globale in base alle carte del rischio presenti nel documento congiunto delle Società Europee dell'Ipertensione, di Cardiologia e dell'Aterosclerosi, mentre per i soggetti con storia personale di malattia coronarica la nota stessa suggerisce di impiegare, per la stratificazione del rischio, le carte ottenute dal follow-up a 4 anni dello studio GISSI-Prevenzione, condotto su circa 11.000 pazienti italiani sopravvissuti ad un infarto miocardico accertato (14).

Il Comitato di scrittura di questo documento ha ritenuto di suggerire l'adozione di raccomandazioni di refertazione in linea con i criteri su cui si basa la nuova Nota 13. Tale decisione, basata essenzialmente su motivi di natura pratica (la rimborsabilità di farmaci previsti per un uso cronico, come gli ipolipidemizzanti, è di fatto un prerequisito, nella nostra società, per un loro impiego su larga scala) tiene conto anche delle importanti analogie e convergenze concettuali, al di là di differenze formali, tra tutti i documenti pubblicati, che permettono di concludere che i loro principi base sono al giorno d'oggi largamente condivisi nella comunità scientifica internazionale.
La valutazione preliminare del "rischio coronarico globale", l'adozione del concetto di "valori obiettivo" nella gestione clinica della colesterolemia totale ed LDL, e l'adozione di valori differenziati a seconda del profilo di rischio del soggetto esaminato (con una conseguente graduazione dell'intensità dell'intervento da effettuare), presenti in tutti i documenti di indirizzo precedentemente citati, rappresentano infatti i concetti fondamentali, ormai condivisi, su cui basare una corretta gestione clinica delle alterazioni della lipidemia.



LA NUOVA NOTA CUF NUMERO 13 SULLA RIMBORSABILITÀ DEI FARMACI IPOLIPIDEMIZZANTI

La nuova nota, pubblicata all'inizio dell'anno in corso (15), ha modificato in modo rilevante il regime di rimborso dei farmaci ipolipidemizzanti nel nostro Paese. La nota ha concesso la rimborsabilità in classe A di tutti questi farmaci nei pazienti affetti da una dislipidemia su base familiare (la cui definizione diagnostica esula dagli scopi di questo documento, non potendo basarsi solamente su parametri lipidici); essa ha al tempo stesso fissato i criteri per la rimborsabilità delle statine nei soggetti ad alto rischio di un primo evento coronarico, o in pazienti già portatori di malattia coronarica.
Per quanto concerne i soggetti ad alto rischio, la classificazione del rischio prevista dalla nota si basa sul documento di linee guida pubblicato nel 1998, con il supporto delle Società Europee dell'Ipertensione, di Cardiologia e dell'Aterosclerosi (12), oltre che di altre società scientifiche e di gruppi attivi nella prevenzione coronarica. In sintonia con il documento, la nota identifica un livello assoluto di rischio coronarico oltre il quale si considera appropriato il ricorso a modificazioni dello stile di vita o, quando opportuno, di un trattamento farmacologico ipolipidemizzante. Tale livello è stabilito in una probabilità pari o superiore al 20% in dieci anni di incorrere in un evento coronarico fatale o non fatale; il rischio è calcolato tenendo conto dell'età e del sesso del soggetto, e combinando questi dati con i valori della pressione arteriosa sistolica, della colesterolemia totale, dell'abitudine al fumo (quest' ultima valutata in termini dicotomici, e cioè fumatore/non fumatore), e della presenza o assenza di malattia diabetica, sulla base dell'algoritmo derivato dall'osservazione della coorte di Framingham.
Il rischio è presentato in forma grafica in tabelle separate per individui di sesso maschile e femminile, fumatori e non, diabetici e non diabetici, nei quali ad una certa decade di età, combinata con uno specifico valore della colesterolemia totale e della pressione arteriosa sistolica, corrisponde un certo rischio coronarico in 10 anni, valutato per categorie (<5%, 5-10%, 10-20%, 20-40% e >40%).
La nota, in accordo con le linee guida ricordate, identifica, per quanto concerne il profilo lipidico, un obiettivo terapeutico per i pazienti ad alto rischio definito da valori della colesterolemia totale £190 mg/dL (4,9 mmol/L) e/o della colesterolemia LDL £115 mg/dL (3,0 mmol/L). Qualora non determinata dal laboratorio di analisi, la colesterolemia LDL, va calcolata mediante la formula di Friedewald

LDL colesterolo = colesterolo tot - HDL colesterolo - Trigliceridi / 5 (se in mg/dL) / 2 (se in mmol/L)

applicabile per valori della trigliceridemia inferiori a 400-500 mg/dL (4,5-5,6 mmol/L). Per valori della colesterolemia totale >190 mg/dL (4,9 mmol/L) e/o della colesterolemia LDL >115 mg/dL (3,0 mmol/L), in presenza di un rischio globale di malattia ³20% in dieci anni, il medico dovrà iniziare applicando interventi di modificazione dello stile di vita (abitudini alimentari, attività fisica, controllo ponderale, ecc.) e, qualora questi non permettano di scendere al di sotto di questi valori obiettivo, interventi farmacologici con statine. La trigliceridemia ed il valore del colesterolo HDL non sono considerati, nella nuova nota, obiettivi del trattamento, anche se il rilievo di valori diminuiti di colesterolo HDL (inferiori a 39 mg/dL, o 1,0 mmol/L nei maschi e 43 mg/dL, o 1,1 mmol/L nelle femmine), o di una trigliceridemia elevata (superiore a 180 mg/dL, o 2,0 mmol/L) deve essere tenuto in conto come indicatore di un rischio coronarico aumentato.
Nei pazienti in prevenzione secondaria, che vengono identificati come il target a maggiore necessità di trattamento, il valore obiettivo del colesterolo LDL è identificato in 100 mg/dL (2,6 mmol/L), in accordo con tutti i principali documenti internazionali. Solamente nei soggetti a rischio di recidive relativamente basso, da identificarsi mediante l'uso delle ricordate carte del rischio dello studio GISSI-Prevenzione, il valore obiettivo stesso è fissato a 130 mg/dL (3,4 mmol/L).



CONSIDERAZIONI DI ECONOMIA SANITARIA

L'approccio diagnostico terapeutico basato sulla sequenza "definizione del rischio globale - definizione del valore obiettivo - graduazione dell'intervento terapeutico" appare il migliore anche in termini di razionale allocazione delle risorse, e rappresenta pertanto una risposta alle crescenti (e condivisibili) istanze di effettuare gli interventi di prevenzione coronarica anche in base a considerazioni di carattere economico.
Fermo restando, infatti, che l'esistenza di una relazione continua e reversibile tra colesterolemia totale ed LDL e malattia coronarica pone un'esigenza clinica prioritaria di trattare l'ipercolesterolemia, la particolare conformazione delle curve che descrivono la relazione tra colesterolemia e rischio coronarico suggerisce peraltro che si osserverà una diminuzione del vantaggio clinico a mano a mano che ci si avvicina a valori della colesterolemia bassi o molto bassi.
Questa legge (detta anche dei "ritorni decrescenti") è particolarmente operativa per i pazienti a basso rischio, che si trovano su curve di correlazione tra colesterolemia e rischio coronarico relativamente piatte. Cali della stessa ampiezza della colesterolemia, di conseguenza, indurranno modificazioni anche molto diverse del rischio coronarico in differenti situazioni cliniche.
In un simile contesto appare quindi opportuno cercare di intervenire aggressivamente sulla colesterolemia dei soggetti a rischio alto o molto alto (per esempio in prevenzione secondaria, o nei soggetti con segni di danno vascolare aterosclerotico di altri distretti vascolari), mentre nei soggetti a rischio minore l'intervento potrà essere più moderato (figura 1).

a: alto rischio b: rischio intermedio
c: rischio basso
Figura 1. Effetti clinici della riduzione della colesterolemia in soggetti con differente profilo di rischio.
Una riduzione della stessa ampiezza della colesterolemia, dal valore fr1 al valore fr2, induce differenti cali del rischio coronarico nei soggetti ad alto rischio (curva a) a rischio intermedio (curva b) o a basso rischio (curva c). Il calo, indicato dalla proiezione sull'asse delle ordinate, è infatti massimo nei soggetti ad alto rischio (passando da a1 ad a2), intermedio nei soggetti a rischio intermedio (da b1 a b2) e basso nei soggetti a rischio inferiore (da c1 a c2). Poiché il costo dell'intervento può essere considerato costante, il suo ritorno economico decresce al diminuire del rischio.



EFFETTO DELLA COLESTEROLEMIA HDL E DELLA TRIGLICERIDEMIA SUL RISCHIO CORONARICO E LORO GESTIONE CLINICA

Gli studi di epidemiologia osservazionale, come si ricordava, dimostrano che anche il valore della colesterolemia HDL e della trigliceridemia correlano con il rischio coronarico. Valori decrescenti della colesterolemia HDL e crescenti della trigliceridemia si associano infatti ad un rischio crescente di incorrere in eventi coronarici (16, 17).
La relazione tra trigliceridemia e malattia coronarica si attenua tuttavia, o scompare del tutto, nella maggior parte degli studi condotti, quando si esegua un'analisi multivariata. Anche se questo comportamento della trigliceridemia riflette probabilmente l'ampia variabilità biologica di questo parametro, stimata attorno al 20%, esso lascia aperta la possibilità teorica che il valore della trigliceridemia stessa non sia causalmente connesso con la probabilità di malattia. La relazione inversa tra colesterolemia HDL e rischio coronarico è invece più stabile nell'analisi statistica.
In questo contesto, è certamente opportuno segnalare la presenza di elevati valori della trigliceridemia, o di bassi valori della colesterolemia HDL, perché tali rilievi possono concorrere alla definizione del rischio coronarico globale del paziente, e quindi ad una sua più accurata e corretta gestione clinica; l'uso degli stessi parametri come obiettivi di intervento terapeutico, secondo la maggior parte degli esperti, non è invece ancora giustificato. Appare invece opportuno, per il suo basso rischio ed i benefici collaterali che ne possono derivare, l'adozione di uno stile di vita orientato alla correzione non farmacologica di questi parametri (aumento dell'attività fisica, adozione di un corretto schema nutrizionale, abolizione del fumo di sigaretta ecc.).



CONCLUSIONI OPERATIVE

Il passaggio da una situazione in cui le decisioni terapeutiche dovevano essere basate su valori soglia dei principali parametri lipidici ad una nella quale le stesse decisioni devono invece basarsi su livelli di rischio, alla cui definizione i valori della lipidemia concorrono assieme ad altri parametri biochimici, anamnestici e di natura clinica (ad esempio i valori pressori) che in un laboratorio d'analisi non è, allo stato attuale, possibile raccogliere con sicurezza ed affidabilità, rende la refertazione dei valori lipidici stessi un problema di soluzione non semplice. Valori analoghi delle differenti frazioni lipidiche, in pazienti con differente profilo di rischio coronarico globale, potranno infatti implicare interventi clinici del tutto differenti, da una cauta attesa, all'adozione di interventi di stile di vita adeguati, ad una rapida ed aggressiva gestione mediante farmaci.
In tale contesto, il Comitato di scrittura di questo documento raccomanda pertanto che nei laboratori venga sviluppata una refertazione il più possibile uniforme, che abbia le seguenti caratteristiche:
·
Definizione di valori "decisionali" per la colesterolemia totale ed LDL, nei soggetti senza segni clinici di malattia coronarica, pari, rispettivamente, a 190 ed a 115 mg/dL (4,9 e 3,0 mmol/L).
·
Definizione di valori "decisionali" per la colesterolemia LDL, nei soggetti con segni clinici di malattia coronarica ad alto rischio di ricaduta, pari a 100 mg/dL (2,6 mmol/L) e nei soggetti con segni clinici di malattia coronarica a basso rischio di ricaduta, pari a 130 mg/dL (3,4 mmol/L).
·
Identificazione di un valore "desiderabile" per la trigliceridemia inferiore a 180 mg/dL (2,0 mmol/L) e per la colesterolemia HDL superiore a 39 mg/dL (1 mmol/L) per i maschi e 43 mg/dL (1,1 mmol/L) per le femmine.

Lo stile della refertazione dovrà precisare accuratamente il significato da attribuirsi ai valori stampati a lato della determinazione effettuata, per evitare che il paziente possa interpretarne erroneamente il significato, e che tale interpretazione possa successivamente creare al medico incaricato della gestione clinica del paziente problemi di qualunque natura.
In tabella 1 è riportato un esempio di refertazione dei lipidi plasmatici.

Tabella 1
Proposta di refertazione dei lipidi plasmatici
   
 
Colesterolo totale
Colesterolo LDL
 
 
Colesterolo HDL
 
Trigliceridi
VALORI DECISIONALI (°)
³190 mg/dL
³115 mg/dL (*)
 
VALORI DESIDERABILI
(M) >39 mg/dL
(F) >43 mg/dL
<180 mg/dL
 
(°) in funzione del rischio coronarico assoluto (vedi Nota 13 della CUF):
<20% valori decisionali per l'intervento sullo stile di vita
³20% valori decisionali per l'intervento farmacologico
(*) in soggetti con segni clinici di malattia coronarica il valore decisionale è ³100 mg/dL (per i soggetti definiti ad alto rischio) e ³130 mg/dL (per i soggetti definiti a basso rischio) (vedi Nota 13 della CUF)



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