ATHEROSCLEROTIC VASCULAR DISEASE CONFERENCE
Executive Summary - American Heart Association's Expert Panel on Disease Management

Atherosclerotic Vascular Disease Conference Proceeding for Healthcare Professionals From a Special Writing Group of the American Heart Association
Circulation 2004; 109:2595-2604

L'aterosclerosi rappresenta una delle più importanti cause di morte e di disabilità negli Stati Uniti e in tutto il mondo. Più di 25 milioni di persone negli USA presenta almeno un sintomo clinico evidente di aterosclerosi e in molti casi il fenomeno rimane nascosto pur costituendo un importante indicatore di significativi eventi cardiovascolari.
Nella seconda metà del secolo scorso l'aterosclerosi coronarica è stata l'argomento principale della ricerca clinica e di base. Come risultato sono stati fatti considerevoli progressi nello sviluppo di programmi per la prevenzione ed il trattamento delle coronaropatie (CAD). Lo sviluppo in particolare di terapie lipolipemizzanti, antitrombotiche e trombolitiche ha avuto un impatto considerevole nel ridurre i decessi e la disabilità derivanti da aterosclerosi coronarica.
L'aterosclerosi è una patologia sistemica con importanti conseguenze a carico di diversi compartimenti circolatori, inclusi quelli a livello del cervello, dei reni, del mesentere e degli arti. I soggetti con aterosclerosi cerebrale presentano un rischio maggiore di ictus ischemico. Quelli con aterosclerosi a livello dell'arteria renale sono a rischio di ipertensione grave e refrattaria come anche di insufficienza renale. I soggetti con aterosclerosi a livello degli arti, ad esempio, nelle arterie periferiche, possono sviluppare sintomi disabilitanti di claudicatio o di ischemia. Inoltre, la comparsa di aterosclerosi in un determinato distretto vascolare fa aumentare il rischio di effetti collaterali dannosi a carico di altre aree corporee.
Nel 2002 l'American Heart Association ha organizzato una conferenza sulla malattia aterosclerotica vascolare (AVD) con l'intento di fare il punto della situazione sullo stato di conoscenza e sui futuri sviluppi nell'ambito dell'aterosclerosi non coronarica, riguardanti (1) l'epidemiologia, (2) i fattori di rischio, (3) la patofisiologia, e (4) le terapie mediche.

1) L'EPIDEMIOLOGIA
L'andamento epidemiologico dell'aterosclerosi non coronarica è stato considerato in 4 specifici compartimenti vascolari: cerebrovascolare, aortico, renale e periferico.

Aterosclerosi cerebrovascolare
L'ictus rappresenta oggi la terza causa di morte e la principale responsabile di disabilità a lungo termine, negli Stati Uniti. Ogni anno si verificano 600.000 nuovi casi di ictus, di cui circa l'85% sono di natura ischemica e di questi la maggior parte sono tromboembolici. Il numero di ictus attribuibili ad aterosclerosi carotidea (che rappresenta infatti una causa comune di ictus [Fisher et al 1950]) corrisponde al 20%. Nella coorte dello studio di Framingham (più di 1000 soggetti studiati, fra cui 441 uomini e 675 donne di età media corrispondente a 75 anni) il 47% delle donne e il 37% degli uomini presentavano una stenosi della carotide compresa tra 0% e 10%; il 37% degli uomini e il 34% delle donne avevano una stenosi carotidea compresa tra 11% e 30%; infine in più del 10% della coorte si riscontrava una stenosi >40%.
Esistono differenze etniche legate alla comparsa di stenosi carotidea: i soggetti di razza nera hanno un'incidenza più alta del 38% di ictus ischemico e di conseguenza anche una mortalità più alta, rispetto ai bianchi. La popolazione nera presenta anche un ispessimento dell'intima media carotidea significativamente maggiore rispetto alla popolazione bianca non ispanica.

Aterosclerosi aortica
Le principali sindromi cliniche associate ad aterosclerosi aortica sono (1) gli aneurismi aortici addominali (AAAs), (2) la dissezione aortica, (3) l'ateroembolizzazione periferica e (4) l'ulcera aortica e l'ematoma intramurale. Dai dati di autopsie è emersa la presenza di AAAs nel 4,7% di uomini e nell'1,7% di donne con età compresa tra i 56 e i 74 anni.
In un grande studio di screening che ha coinvolto più di 125.000 soggetti tra i 50 e i 79 anni, la prevalenza di AAA asintomatico era, rispettivamente del 4,3% e dell'1,0% per gli uomini e per le donne (AAA>3,0 cm).
La prevalenza di ateromi aortici tra soggetti sottoposti a ecocardiografia transesofagea (TEE) è dell'8,0%; tra quelli con una significativa stenosi carotidea diagnostica, sale al 38%; infine tra quelli con sindrome coronarica ostruttiva documentata si arriva fino al 90%. Studi di TEE hanno dimostrato un'associazione tra la presenza di ateromi aortici e ictus, come anche altri eventi embolici periferici. Uno studio prospettico ha dimostrato che tra soggetti con ateromi aortici si rileva un'incidenza del 33% di eventi embolici vascolari nell'arco di due anni di follow up. Tra i pazienti che presentano sintomi indicativi di una dissezione aortica acuta o di ulcere aortiche penetranti, l'incidenza è approssimativamente del 10%.
Per quanto riguarda la mortalità e la morbilità cardiovascolare, si può osservare come la presenza di calcificazione aortica risulta associata ad un rischio due volte superiore di morte cardiaca negli uomini e nelle donne età inferiore ai 65 anni.

Aterosclerosi dell'arteria renale
Molti dei fattori di rischio che contribuiscono alle coronaropatie in realtà rappresentano anche i cosiddetti "drivers" per la malattia renale cronica, soprattutto se si parla di obesità, ipertensione, diabete ed altri fattori di rischio specifici correlati a queste condizioni patologiche. Lo stadio della malattia viene stabilita sulla base del grado di filtrazione glomerulare: il rischio renale per l'aterosclerosi inizia al livello III di CKD (filtrazione glomerulare<60 mL/min x 1,73 m2). Nel 2000 l'incidenza annua di danno renale allo stadio finale (ESRD) veniva stimata attorno ai 100.000 con una prevalenza di 372.407 casi in continua crescita. Nel 2010 si stima ci saranno più di 650.000 casi di ESRD negli USA.
A causa della confluenza dei fattori di rischio, l'ESRD viene spesso associato ad aterosclerosi dell'arteria renale, anche se in realtà i dati sulla prevalenza di stenosi dell'arteria renale derivano da studi su pazienti sottoposti a cateterizzazione cardiaca, in cui la numerosità del campione può variare da 170 a più di 1400 soggetti arruolati.
Dalle autopsie di più di 2000 pazienti morti per ictus è emerso che nel 10% dei casi era presente una stenosi dell'arteria renale>1 ( compresa tra 50% e 70%).
Nell'ambito del National Institutes of Health Hemodialysis study, la prevalenza di malattia cerebrovascolare, di arteriopatia periferica (PAD) e di CHD era del 19%, del 23% e del 40% rispettivamente.
Esistono poi delle differenze etniche nell'epidemiologia di CKD; rispetto ai bianchi, i neri appaiono più predisposti verso l'ESRD attribuibile ad ipertensione, mentre lo sono meno per una stenosi dell'arteria renale. Inoltre, i soggetti asiatici ed ispanici affetti da ESRD tendono ad entrare in dialisi più tardi rispetto agli stessi pazienti di etnia nera.

Arteriopatia Periferica (PAD)
Sebbene la presenza di claudicatio o l'esame fisico che dimostra l'assenza di polso o una sua marcata diminuzione, vengono da sempre impiegati per definire l'arteriopatia periferica (PAD), la diagnosi viene effettuata considerando il cosiddetto indice caviglia-brachiale: un indice <0,90 risulta 90% sensibile e 95% specifico per la PAD. Una PAD grave che causa dolore a riposo o ulcerazione generalmente si verifica con un valore di indice caviglia-brachiale <0,40. Tra i soggetti con PAD, la presenza di CHD è comune (85% attraverso angiografia), come anche di malattia cerebrovascolare (60% dei pazienti con PAD hanno anche una stenosi carotidea >30% rilevata mediante ultrasuonografia). Nei pazienti con PAD diagnosticata compare un'ischemia alle gambe nel 5% dei casi dopo 5 anni, con una percentuale di amputazione compresa tra l'1% e il 4%. La mortalità a 5 anni si avvicina al 30%, anche se con una tendenza a diminuire, in questi ultimi anni, grazie soprattutto ad una modifica dei fattori di rischio e all'introduzione di nuovi approcci terapeutici farmacologici.

2) I FATTORI DI RISCHIO
L'attuale conoscenza dei fattori di rischio per AVD deriva dai dati sui tradizionali fattori di rischio per l'aterosclerosi, dall'applicazione delle nozioni sui nuovi indicatori emergenti e dallo studio di marker genetici.

Fattori di rischio tradizionali e rischio vascolare
La maggior parte dei dati sull'aterosclerosi vascolare non coronaria deriva da grandi studi svolti per verificare la correlazioni con coronaropatie ischemiche (CHD), quali soprattutto lo studio di Framingham, l'ARIC (Atherosclerosis risk in Communities) e gli Strong Heart Study. Questi lavori suggeriscono che i fattori di rischio per AVD non coronaria sono del tutto simili ai fattori dir ischio per le CHD. Quindi età, storia familiare, dislipidemia, abitudine al fumo, ipertensione diabete costituiscono i fattori si rischio più importanti per l'ADV cerebrovascolare, aortica, renale e degli arti (principalmente fumo e diabete).
Una forma frequente di dislipidemia associata ad AVD è rappresentata dalla combinazione di elevati livelli di trigliceridi e bassi livelli di colesterolo HDL, condizioni che caratterizzano i soggetti diabetici e che quindi contribuiscono all'alta incidenza di AVD tra i pazienti diabetici.
Variazioni nella prevalenza di AVD agli arti inferiori sono correlate al sesso e all'etnia di appartenenza; infatti, si può osservare come il diabete rappresenti un fattore di rischio per questa patologia, più tra le donne che tra gli uomini, con un'incidenza maggiore a livello di tibia e perone. Il fumo di sigaretta invece, risulta associato ad AVD aorto-iliaca sindrome aorto-iliaca ipoplastica inh giovani donne fumatrici. Ancora, la PAD risulta molto più frequente tra i soggetti afro-americani che tra quelli ispanici.

Nuovi fattori di rischio per AVD
Gli eventi CHD possono essere predetti attraverso l'impiego di equazioni multivariate che includono i tradizionali fattori di rischio come variabili. Nuovi fattori, soprattutto quelli che determinano il rischio, ma risultano poco correlati con quelli già esistenti, possono rappresentare la chiave per migliorare l'attuale approccio alla stima dl rischio. L'evidenza del ruolo dell'infiammazione nell'AVD ha alimentato la ricerca di nuovi fattori di rischio oggi rappresentati principalmente da lipoproteina (a), apolipoproteina (apo) A-1, apo B-100, proteina C-reattiva (CRP), fibrinogeno ed omocisteina.
Numerosi studi che hanno interessato sia uomini che donne, hanno fornito informazioni sul valore aggiuntivo di alcuni di questi nuovi marker; in un confronto prospettico fattori di rischio per AVD lipidici/non lipidici tra donne di età media e apparentemente sane, l'aggiunta di hs-CRP nello screening basato sui livelli standard di lipidi ha migliorato la capacità predittiva del rischio aumentato di ictus e di infarto del miocardio (IM). Nel caso di soggetti maschili, uno studio che ha messo a confronto 11 biomarker associati allo sviluppo di PAD ha rivelato che il rapporto colesterolo totale/colesterolo HDL è il predittore di rischio più importante. L'aggiunta nel modello di CRP o di fibrinogeno ha migliorato in modo significativo il valore predittivo, mentre l'aggiunta di apo B-100, di lipoproteina (a) o di omocisteina non ha avuto alcun effetto degno di nota. È importante sottolineare che omocisteina e lipoproteina (a), benché non aggiungano nulla al valore predittivo, tuttavia, possono essere utili nella stima di AVD prematura o improvvisa. Non ci sono infatti grandi studi clinici randomizzati in grado di dimostrare che la riduzione dei livelli di omocisteina porti ad un miglioramento delle condizioni patologiche.

Fattori di rischio genetici
L'evidenza di numerose linee di ricerca indica che l'aterosclerosi ha, almeno in parte, una base genetica. Lo spessore dell'intima media carotidea, marker surrogato di aterosclerosi tra la popolazione, presenta un alto grado di ereditabilità. Tra il 64% e il 92% di variazioni nel valore di questo indicatore, può essere spiegato da fattori familiari. I dati dello studio di Framingham indicano che più del 50% delle variazioni nella calcificazione della aorta addominale, altro indicatore surrogato di aterosclerosi, è causato da predisposizioni familiari.
Poiché non è stato individuato un gene principale responsabile dell'aterosclerosi, l'attuale ricerca si èp focalizzata sulla determinazione di geni che contribuiscono a generare quelle condizioni patologiche intermedie che portano poi allo sviluppo del processo aterosclerotico. È noto che l'aterosclerosi è causata da una mutazione genica a livello di più geni candidati ad avere un ruolo nell'area cardiovascolare e che può esplicare un piccolo effetto sullo sviluppo della malattia aterosclerotica. In particolare poi il contesto in cui questi geni sono espressi ha un impatto sulla storia naturale del processo patologico in questione. I geni candidati, inclusi anche quelli che codificano per i fattori emostatici (ad es. per l'Interleuchina 6 e per il fattore alfa di necrosi tessutale), sono coinvolti anche in altri fenomeni quali infiammazione, dislipidemia, ipertensione, diabete, omocisteinemia ed obesità.
Di particolare rilevanza sono i lipidi e le lipoproteine, in quanto loro possibili variazioni, soprattutto un aumento nei livelli di LDL, rappresentano per-requisiti per l'aterogenesi. I geni coinvolti nelle anormalità dei profili lipidici includono quelli codificanti per Apo E, recettore per i cosiddetti "scavenger", lipasi epatica, lipasi lipoproteica, proteina di trasporto degli esteri del colesterolo e il complesso apo A1-CIII-AIV. Variazioni in tutti questi geni "candidati" possono predire anche la risposta del paziente alla dieta e alla terapia farmacologica (ad esempio è il caso dei geni che codificano per l'Angiotensinogeno e per la alfa-adducina, una cui mutazione altera la risposta ad una dieta e ad una terapia iposodica).

3) LA PATOFISIOLOGIA
L'esistenza dell'aterosclerosi è nota ormai da più di 500 anni e viene considerata una condizione patologica da più di 150 anni. Numerosi studi hanno descritto questa malattia come un processo diffuso e progressivo, con una distribuzione variabile e una sintomatologia legata al distretto circolatorio interessato. Fattori che possono influenzare tali differenze includono (1) la dimensione e la struttura dell'arteria colpita, (2) il flusso ematico locale e regionale, (3) le eventuali alterazioni nella microcircolazione.
L'aterosclerosi coinvolge numerosi processi correlati, inclusi i disturbi del metabolismo lipidico, l'attivazione piastrinica, la trombosi, la disfunzione endoteliale, l'infiammazione, lo stress ossidativo, l'attivazione delle cellule della muscolatura liscia vascolare, un'alterazione del metabolismo di matrice, il rimodellamento e i fattori genetici.
I fattori di rischio giocano un ruolo importante nelle fasi iniziali del processo aterosclerotico e quindi rappresentano anche il riferimento principale per la stima del rischio e il target primario per l'intervento terapeutico finalizzato a prevenire un danno vascolare prematuro. Tra i più significativi abbiamo soprattutto fumo, diabete mellito e dislipidemia (livelli elevati di colesterolo LDL e livelli ridotti di colesterolo HDL, ipertrigliceridemia).
L'attivazione piastrinica e la trombosi costituiscono componenti fondamentali della aterosclerosi; la trombosi coronarica infatti si verifica spesso in siti di rottura o di erosione della placca, in seguito alla quale il collagene subendoteliale, il core lipidico e i fattori pro-coagulanti come il fattore tessutale e il fattore di von Willebrand risultano esposti al sangue circolante. Le piastrine aderiscono immediatamente alla parete del vaso mediante le glicoproteine GPIa/IIb e GP Ib/IX. È importante sottolineare che le piastrine sono una fonte ricca di ossido d'azoto NO e che una deficienza in NO bioattivo è stata associata a trombosi; sebbene quest'ultima sia ritenuta un processo critico nelle sindromi coronariche acute, può rivestire un ruolo ancor più rilevante nel modulare il rischio di eventi ischemici acuti in caso di malattia arteriolare periferica (PAD).
L'endotelio vascolare viene oggi ritenuto un elemento centrale nel controllo (1) dell'omeostasi vascolare, (2) del tono vascolare, (3) dell'apporto di elementi nutritivi e della rimozione di scarti metabolici e (4) di processi patologici quali l'infiammazione, la trombosi e la coagulazione.
L'azione regolatoria dell'endotelio avviene principalmente attraverso la produzione di mediatori autocrini e paracrini tra i quali NO, prostaglandine, fattori iperpolarizzanti di derivazione endoteliale, endotelina e angiotensina II. Queste sostanze mantengono un equilibrio tra vasodilatazione e vasocostrizione, tra trombosi ed azione anticoagulante, tra modulazione e infiammazione. Tra questi mediatori, l'NO, sintetizzato dalla NO sintasi endoteliale (eNOS o NOSIII), è un vasodilatatore molto potente, la cui azione viene però controllata da vasocostrittori altrettanto potenti, quali l'angiotensina II e l'endotelina.
In soggetti sani l'attivazione di eNOS porta a vasodilatazione, mentre invece in soggetti con aterosclerosi si osserva, accanto ad una modesta dilatazione dei vasi periferici, una potente vasocostrizione delle arterie coronariche, con conseguente minore biodisponibilità di NO. Ciò potrebbe contribuire a creare uno stato fisiologico favorevole a trombosi e allo sviluppo di aterosclerosi. Infatti le cellule endoteliali partecipano al reclutamento, all'adesione e alla diapedesi di leucociti nella parete vascolare attraverso la produzione di chemochine, di citochine e di fattori di trascrizione intracellulari, come il fattore nucleare KB e la proteina_1 attivatrice. In realtà questi processi rappresentano anche il punto chiave della formazione di lesioni aterosclerotiche precoci. L'NO antagonizza ciascuno di questi meccanismi, mentre invece una riduzione nella sua biodisponibilità favorisce la comparsa di eterogenesi.
Numerosi sono ormai gli studi che dimostrano come processi infiammatori giochino un ruolo rilevante nell'aterosclerosi; la comparsa di uno stato infiammatorio è accompagnata dal contemporaneo accumulo di lipoproteine LDL ossidate nella parete dei vasi. La cellula endoteliale esprime sulla superficie numerose molecole di adesione, incluse le selectine P ed E, la molecola di adesione intercellulare e VCAM1, le quali si legano ai leucociti circolanti, attivandoli. Una volta all'interno della parete dei vasi, i leucociti attivati rilasciano enzimi proteolitici e un ampio numero di fattori di crescita e di citochine che degradano le proteine di matrice e stimolano le cellule della muscolatura liscia, le cellule endoteliali e i macrofagi. L'infiammazione può portare anche a rottura delle placche aterosclerotiche e a trombosi.
Le placche vulnerabili sono caratterizzate da un grande core lipidico, un sottile rivestimento fibroso e da cellule infiammatorie che costituiscono lo strato più esterno. Numerosi studi hanno dimostrato che le metalloproteinasi di matrice (MMPs) e altre sostanze espresse dai macrofagi causano una degradazione del rivestimento, rendendo la placca più instabile e quindi più suscettibile a rottura. L'esposizione poi dell'ateroma sottostante e del fattore tessutale alle piastrine circolanti e alla trombina, può portare alla formazione di un trombo.
L'eccessiva produzione di specie ossigeno-reattive (ROS) rappresenta un importante processo patologico nell'aterogenesi. È stato infatti dimostrato che ogni elemento che caratterizza un vaso aterosclerotico, determina un aumento nella sintesi di ROS, soprattutto dell'anione superossido (O2-), prodotto da cellule della muscolatura liscia vascolare, da cellule endoteliali, da fibroblasti e da leucociti infiltranti. Queste specie reattive interferiscono con la trascrizione di geni, danneggiano il DNA, promuovono la sintesi di fattori di trascrizione per l'infiammazione e soprattutto ossidano le lipoproteine LDL e spazzano via (scavenger) l'NO prodotto dall'endotelio. Nelle lesioni aterosclerotiche sono infatti presenti LDL ossidate le quali, inducono poi una serie di processi aterogenici, quali la trascrizione dei geni pro-aterogenici, la produzione di metalloproteinasi di matrice e di fattore tessutale, l'antagonismo nella sintesi di NO da parte delle cellule endoteliali e la promozione di apoptosi delle cellule della muscolatura liscia dei vasi. Inoltre l'azione di "scavenger"di NO favorisce l'infiammazione, l'attivazione piastrinica e la vasocostrizione.
Le cellule della muscolatura liscia vascolare rivestono un ruolo centrale nell'aterosclerosi. Una volta attivate da fattori di crescita, oppure da un dannno o da citochine, queste subiscono una variazione di fenotipi, che le porta a migrare all'interno della neointima. Stimolate dal fattore di crescita e dalle citochine, proliferano e secernono proteine di matrice ed enzimi. La placca aterosclerotica è costituita da elementi cellulari e matrice extracellulare; quest'ultima occupa più del 50% del volume dell'intera lesione ed è formata da glicosamminoglicani, proteoglicani, collagene, elastina, fibronectina, vitronectina e trombospondina. Le cellule della muscolatura liscia vascolare sono le maggiori responsabili della produzione di queste proteine di matrice, ma una volta attivate, sintetizzano metalloproteinasi di matrice che provvedono a degradare il collagene e l'elastina con conseguente deposito dei prodotti di degradazione e comparsa di fibrosi.
I "vasa vasorum" possono contribuire all'aterosclerosi. Appena le placche si ispessiscono, si osserva infatti un aumento dei vasa vasorum. Non è ancora chiaro se si tratti di una risposta alla crescita della placca o se invece contribuisca a questa crescita.
La predisposizione genetica rappresenta un importante fattore di rischio per l'aterosclerosi; in alcuni studi, infatti, circa il 50% del rischio di malattia aterosclerotica viene attribuito a fattori genetici. È ormai chiaro che si tratta di una patologia multifattoriale e, in quanto tale, numerosi geni contribuiscono ad una sua suscettibilità. Attualmente sono due gli approcci principali a cui la ricerca sta lavorando: (1) esaminare l'espressione, le funzioni e le interazioni di geni in modelli del processo aterosclerotico e (2) esaminare le popolazioni per variazioni genetiche correlate a differenze nel tasso di incidenza di malattia aterosclerotica.

4) LE TERAPIE MEDICHE
La diagnosi ed il trattamento dell'aterosclerosi, una patologia sistemica, devono tener conto dei suoi meccanismi patofisiologici e delle sue localizzazioni vascolari.

Aterosclerosi a livello carotideo
Nell'ambito dell'aterosclerosi, la malattia in sede carotidea identifica i soggetti con un rischio aumentato di infarto miocardico fatale e non fatale e di ictus. Le terapie mediche, che dovrebbero essere implementate per ridurre la probabilità di ictus e di morte nei pazienti con danno carotideo, includono quelle che modificano i fattori di rischio e quelle che inibiscono la trombosi. Esiste una ampia evidenza che i farmaci antiipertensivi, ipolipemizzanti e antiaggreganti riducono il rischio di ictus.
In una meta-analisi di trias controllati e randomizzati, i trattamenti antiipertensivi inclusi i diuretici e i beta-bloccanti, sono risultati in grado di ridurre in modo efficace il rischio di ictus di circa il 40%. Anche gli agenti ACE-inibitori diminuiscono la probabilità di ictus nelle popolazioni ad alto rischio; un effetto, questo, che appare, in alcuni studi, indipendente dalla loro azione ipotensiva.
Studi di prevenzione secondaria in soggetti ipercolesterolemici con coronaropatia hanno evidenziato che la terapia ipolipemizzante con le statine riduce il rischio di ictus. Da una meta-analisi di trias randomizzati su pazienti ad alto rischio è emerso che gli ipolipemizzanti riducevano il rischio di ictus fatale e non fatale del 22%. In soggetti con precedente ictus o attacco ischemico transiente, l'aspirina riduce il rischio di eventi cardiovascolari avversi del 23%. Una review di quattro studi di cui tre confrontavano aspirina con ticlopidina e uno aspirina con clopidogrel, ha evidenziato una riduzione del 12% di ictus a favore delle tiopiridine, piuttosto che dell'aspirina.
La rivascolarizzazione della carotide viene indicata nei pazienti con stenosi significativa e con sintomi rilevanti di ischemia cerebrovascolare o ictus non debilitante. Il ricorso all'endarterectomia per trattare soggetti con stenosi asintomatica resta ancora una questione controversa. Un trial randomizzato ha evidenziato una riduzione del rischio di ictus o di morte in pazienti trattati con endarterectomia caroritea, rispetto a quelli sottoposti a terapia medica.

Aterosclerosi dell'Aorta
I danni all'Aorta correlati all'aterosclerosi includono l'occlusione, l'aneurisma, la dissezione (aortica distale o di tipo B e prossimale o di tipo A), l'ematoma intramurale e l'ulcera aortica penetrante.
Gli aneurismi associati al processo aterosclerotico si manifestano principalmente nel tratto discendente dell'aorta toracica e nell'aorta addominale. La conseguenza principale è la rottura dell'aneurisma, anche se, a causa della concomitante presenza di aterosclerosi, circa il 60% dei pazienti muore per altre cause cardiovascolari, principalmente per infarto del miocardio (IM). L'inserimento di uno stent per evitare la rottura dell'aneurisma è una tecnica sempre in evoluzione e rappresenta la scelta chirurgica per eccellenza. I trattamenti farmacologici consistono in terapie finalizzate a ridurre il rischio di IM e di morte, soprattutto abbassando i valori di colesterolo e di pressione arteriosa.
Nel caso di una dissezione aortica si procede riducendo i valori pressori e lo stress aortico mediante farmaci bloccanti beta-adrenergici spesso usati in combinazione con nitroprusside.

Stenosi dell'Arteria Renale
La terapia farmacologica di una stenosi dell'arteria renale, evidenziata attraverso una diagnostica per immagini, si focalizza sulla riduzione della pressione sanguigna, oppure sulla preservazione dell'organo o su entrambe, attraverso farmaci che inibiscono il sistema renina-angiotensina, ovvero gli ACE-inibitori e i bloccanti del recettore per l'angiotensina.

Occlusione delle Arterie Periferiche (PAD)
L'approccio terapeutico in caso di PAD deve tener presente due considerazioni fondamentali: (1) PAD rappresenta un marker di aterosclerosi sistemica e di conseguenza, i pazienti presentano un rischio maggiore di IM, di ictus e di morte; (2) i pazienti con PAD possiedono un fisico indebolito, stanchezza cronica, claudicatio intermittente o ischemia a livello degli arti inferiori. Le terapie dovrebbero essere finalizzate a ridurre gli eventi cardiovascolari (ictus, coronaropatie, insufficienza cardiaca congestizia ed insufficienza renale cronica), ovvero cambiare lo stile di vita, modificare i fattori di rischio ed assumere farmaci antiaggreganti piastrinici e ipolipemizzanti (soprattutto statine).

Alberico L. Catapano e Alessandra Bertelli, Dipartimento di Scienze Farmacologiche, Università degli Studi di Milano