ATHEROSCLEROTIC
VASCULAR DISEASE CONFERENCE
Executive Summary - American Heart Association's Expert Panel on Disease
Management
Atherosclerotic
Vascular Disease Conference Proceeding for Healthcare Professionals From
a Special Writing Group of the American Heart Association
Circulation 2004; 109:2595-2604
L'aterosclerosi
rappresenta una delle più importanti cause di morte e di disabilità
negli Stati Uniti e in tutto il mondo. Più di 25 milioni di persone
negli USA presenta almeno un sintomo clinico evidente di aterosclerosi
e in molti casi il fenomeno rimane nascosto pur costituendo un importante
indicatore di significativi eventi cardiovascolari.
Nella seconda metà del secolo scorso l'aterosclerosi coronarica
è stata l'argomento principale della ricerca clinica e di base.
Come risultato sono stati fatti considerevoli progressi nello sviluppo
di programmi per la prevenzione ed il trattamento delle coronaropatie
(CAD). Lo sviluppo in particolare di terapie lipolipemizzanti, antitrombotiche
e trombolitiche ha avuto un impatto considerevole nel ridurre i decessi
e la disabilità derivanti da aterosclerosi coronarica.
L'aterosclerosi è una patologia sistemica con importanti conseguenze
a carico di diversi compartimenti circolatori, inclusi quelli a livello
del cervello, dei reni, del mesentere e degli arti. I soggetti con aterosclerosi
cerebrale presentano un rischio maggiore di ictus ischemico. Quelli con
aterosclerosi a livello dell'arteria renale sono a rischio di ipertensione
grave e refrattaria come anche di insufficienza renale. I soggetti con
aterosclerosi a livello degli arti, ad esempio, nelle arterie periferiche,
possono sviluppare sintomi disabilitanti di claudicatio o di ischemia.
Inoltre, la comparsa di aterosclerosi in un determinato distretto vascolare
fa aumentare il rischio di effetti collaterali dannosi a carico di altre
aree corporee.
Nel 2002 l'American Heart Association ha organizzato una conferenza sulla
malattia aterosclerotica vascolare (AVD) con l'intento di fare il punto
della situazione sullo stato di conoscenza e sui futuri sviluppi nell'ambito
dell'aterosclerosi non coronarica, riguardanti (1) l'epidemiologia, (2)
i fattori di rischio, (3) la patofisiologia, e (4) le terapie mediche.
1)
L'EPIDEMIOLOGIA
L'andamento epidemiologico dell'aterosclerosi non coronarica è
stato considerato in 4 specifici compartimenti vascolari: cerebrovascolare,
aortico, renale e periferico.
Aterosclerosi cerebrovascolare
L'ictus rappresenta oggi la terza causa di morte e la principale responsabile
di disabilità a lungo termine, negli Stati Uniti. Ogni anno si
verificano 600.000 nuovi casi di ictus, di cui circa l'85% sono di natura
ischemica e di questi la maggior parte sono tromboembolici. Il numero
di ictus attribuibili ad aterosclerosi carotidea (che rappresenta infatti
una causa comune di ictus [Fisher et al 1950]) corrisponde al 20%. Nella
coorte dello studio di Framingham (più di 1000 soggetti studiati,
fra cui 441 uomini e 675 donne di età media corrispondente a 75
anni) il 47% delle donne e il 37% degli uomini presentavano una stenosi
della carotide compresa tra 0% e 10%; il 37% degli uomini e il 34% delle
donne avevano una stenosi carotidea compresa tra 11% e 30%; infine in
più del 10% della coorte si riscontrava una stenosi >40%.
Esistono differenze etniche legate alla comparsa di stenosi carotidea:
i soggetti di razza nera hanno un'incidenza più alta del 38% di
ictus ischemico e di conseguenza anche una mortalità più
alta, rispetto ai bianchi. La popolazione nera presenta anche un ispessimento
dell'intima media carotidea significativamente maggiore rispetto alla
popolazione bianca non ispanica.
Aterosclerosi
aortica
Le principali sindromi cliniche associate ad aterosclerosi aortica sono
(1) gli aneurismi aortici addominali (AAAs), (2) la dissezione aortica,
(3) l'ateroembolizzazione periferica e (4) l'ulcera aortica e l'ematoma
intramurale. Dai dati di autopsie è emersa la presenza di AAAs
nel 4,7% di uomini e nell'1,7% di donne con età compresa tra i
56 e i 74 anni.
In un grande studio di screening che ha coinvolto più di 125.000
soggetti tra i 50 e i 79 anni, la prevalenza di AAA asintomatico era,
rispettivamente del 4,3% e dell'1,0% per gli uomini e per le donne (AAA>3,0
cm).
La prevalenza di ateromi aortici tra soggetti sottoposti a ecocardiografia
transesofagea (TEE) è dell'8,0%; tra quelli con una significativa
stenosi carotidea diagnostica, sale al 38%; infine tra quelli con sindrome
coronarica ostruttiva documentata si arriva fino al 90%. Studi di TEE
hanno dimostrato un'associazione tra la presenza di ateromi aortici e
ictus, come anche altri eventi embolici periferici. Uno studio prospettico
ha dimostrato che tra soggetti con ateromi aortici si rileva un'incidenza
del 33% di eventi embolici vascolari nell'arco di due anni di follow up.
Tra i pazienti che presentano sintomi indicativi di una dissezione aortica
acuta o di ulcere aortiche penetranti, l'incidenza è approssimativamente
del 10%.
Per quanto riguarda la mortalità e la morbilità cardiovascolare,
si può osservare come la presenza di calcificazione aortica risulta
associata ad un rischio due volte superiore di morte cardiaca negli uomini
e nelle donne età inferiore ai 65 anni.
Aterosclerosi
dell'arteria renale
Molti dei fattori di rischio che contribuiscono alle coronaropatie in
realtà rappresentano anche i cosiddetti "drivers" per
la malattia renale cronica, soprattutto se si parla di obesità,
ipertensione, diabete ed altri fattori di rischio specifici correlati
a queste condizioni patologiche. Lo stadio della malattia viene stabilita
sulla base del grado di filtrazione glomerulare: il rischio renale per
l'aterosclerosi inizia al livello III di CKD (filtrazione glomerulare<60
mL/min x 1,73 m2). Nel 2000 l'incidenza annua di danno renale allo stadio
finale (ESRD) veniva stimata attorno ai 100.000 con una prevalenza di
372.407 casi in continua crescita. Nel 2010 si stima ci saranno più
di 650.000 casi di ESRD negli USA.
A causa della confluenza dei fattori di rischio, l'ESRD viene spesso associato
ad aterosclerosi dell'arteria renale, anche se in realtà i dati
sulla prevalenza di stenosi dell'arteria renale derivano da studi su pazienti
sottoposti a cateterizzazione cardiaca, in cui la numerosità del
campione può variare da 170 a più di 1400 soggetti arruolati.
Dalle autopsie di più di 2000 pazienti morti per ictus è
emerso che nel 10% dei casi era presente una stenosi dell'arteria renale>1
( compresa tra 50% e 70%).
Nell'ambito del National Institutes of Health Hemodialysis study, la prevalenza
di malattia cerebrovascolare, di arteriopatia periferica (PAD) e di CHD
era del 19%, del 23% e del 40% rispettivamente.
Esistono poi delle differenze etniche nell'epidemiologia di CKD; rispetto
ai bianchi, i neri appaiono più predisposti verso l'ESRD attribuibile
ad ipertensione, mentre lo sono meno per una stenosi dell'arteria renale.
Inoltre, i soggetti asiatici ed ispanici affetti da ESRD tendono ad entrare
in dialisi più tardi rispetto agli stessi pazienti di etnia nera.
Arteriopatia
Periferica (PAD)
Sebbene la presenza di claudicatio o l'esame fisico che dimostra l'assenza
di polso o una sua marcata diminuzione, vengono da sempre impiegati per
definire l'arteriopatia periferica (PAD), la diagnosi viene effettuata
considerando il cosiddetto indice caviglia-brachiale: un indice <0,90
risulta 90% sensibile e 95% specifico per la PAD. Una PAD grave che causa
dolore a riposo o ulcerazione generalmente si verifica con un valore di
indice caviglia-brachiale <0,40. Tra i soggetti con PAD, la presenza
di CHD è comune (85% attraverso angiografia), come anche di malattia
cerebrovascolare (60% dei pazienti con PAD hanno anche una stenosi carotidea
>30% rilevata mediante ultrasuonografia). Nei pazienti con PAD diagnosticata
compare un'ischemia alle gambe nel 5% dei casi dopo 5 anni, con una percentuale
di amputazione compresa tra l'1% e il 4%. La mortalità a 5 anni
si avvicina al 30%, anche se con una tendenza a diminuire, in questi ultimi
anni, grazie soprattutto ad una modifica dei fattori di rischio e all'introduzione
di nuovi approcci terapeutici farmacologici.
2)
I FATTORI DI RISCHIO
L'attuale conoscenza dei fattori di rischio per AVD deriva dai dati sui
tradizionali fattori di rischio per l'aterosclerosi, dall'applicazione
delle nozioni sui nuovi indicatori emergenti e dallo studio di marker
genetici.
Fattori
di rischio tradizionali e rischio vascolare
La maggior parte dei dati sull'aterosclerosi vascolare non coronaria deriva
da grandi studi svolti per verificare la correlazioni con coronaropatie
ischemiche (CHD), quali soprattutto lo studio di Framingham, l'ARIC (Atherosclerosis
risk in Communities) e gli Strong Heart Study. Questi lavori suggeriscono
che i fattori di rischio per AVD non coronaria sono del tutto simili ai
fattori dir ischio per le CHD. Quindi età, storia familiare, dislipidemia,
abitudine al fumo, ipertensione diabete costituiscono i fattori si rischio
più importanti per l'ADV cerebrovascolare, aortica, renale e degli
arti (principalmente fumo e diabete).
Una forma frequente di dislipidemia associata ad AVD è rappresentata
dalla combinazione di elevati livelli di trigliceridi e bassi livelli
di colesterolo HDL, condizioni che caratterizzano i soggetti diabetici
e che quindi contribuiscono all'alta incidenza di AVD tra i pazienti diabetici.
Variazioni nella prevalenza di AVD agli arti inferiori sono correlate
al sesso e all'etnia di appartenenza; infatti, si può osservare
come il diabete rappresenti un fattore di rischio per questa patologia,
più tra le donne che tra gli uomini, con un'incidenza maggiore
a livello di tibia e perone. Il fumo di sigaretta invece, risulta associato
ad AVD aorto-iliaca sindrome aorto-iliaca ipoplastica inh giovani donne
fumatrici. Ancora, la PAD risulta molto più frequente tra i soggetti
afro-americani che tra quelli ispanici.
Nuovi
fattori di rischio per AVD
Gli eventi CHD possono essere predetti attraverso l'impiego di equazioni
multivariate che includono i tradizionali fattori di rischio come variabili.
Nuovi fattori, soprattutto quelli che determinano il rischio, ma risultano
poco correlati con quelli già esistenti, possono rappresentare
la chiave per migliorare l'attuale approccio alla stima dl rischio. L'evidenza
del ruolo dell'infiammazione nell'AVD ha alimentato la ricerca di nuovi
fattori di rischio oggi rappresentati principalmente da lipoproteina (a),
apolipoproteina (apo) A-1, apo B-100, proteina C-reattiva (CRP), fibrinogeno
ed omocisteina.
Numerosi studi che hanno interessato sia uomini che donne, hanno fornito
informazioni sul valore aggiuntivo di alcuni di questi nuovi marker; in
un confronto prospettico fattori di rischio per AVD lipidici/non lipidici
tra donne di età media e apparentemente sane, l'aggiunta di hs-CRP
nello screening basato sui livelli standard di lipidi ha migliorato la
capacità predittiva del rischio aumentato di ictus e di infarto
del miocardio (IM). Nel caso di soggetti maschili, uno studio che ha messo
a confronto 11 biomarker associati allo sviluppo di PAD ha rivelato che
il rapporto colesterolo totale/colesterolo HDL è il predittore
di rischio più importante. L'aggiunta nel modello di CRP o di fibrinogeno
ha migliorato in modo significativo il valore predittivo, mentre l'aggiunta
di apo B-100, di lipoproteina (a) o di omocisteina non ha avuto alcun
effetto degno di nota. È importante sottolineare che omocisteina
e lipoproteina (a), benché non aggiungano nulla al valore predittivo,
tuttavia, possono essere utili nella stima di AVD prematura o improvvisa.
Non ci sono infatti grandi studi clinici randomizzati in grado di dimostrare
che la riduzione dei livelli di omocisteina porti ad un miglioramento
delle condizioni patologiche.
Fattori
di rischio genetici
L'evidenza di numerose linee di ricerca indica che l'aterosclerosi ha,
almeno in parte, una base genetica. Lo spessore dell'intima media carotidea,
marker surrogato di aterosclerosi tra la popolazione, presenta un alto
grado di ereditabilità. Tra il 64% e il 92% di variazioni nel valore
di questo indicatore, può essere spiegato da fattori familiari.
I dati dello studio di Framingham indicano che più del 50% delle
variazioni nella calcificazione della aorta addominale, altro indicatore
surrogato di aterosclerosi, è causato da predisposizioni familiari.
Poiché non è stato individuato un gene principale responsabile
dell'aterosclerosi, l'attuale ricerca si èp focalizzata sulla determinazione
di geni che contribuiscono a generare quelle condizioni patologiche intermedie
che portano poi allo sviluppo del processo aterosclerotico. È noto
che l'aterosclerosi è causata da una mutazione genica a livello
di più geni candidati ad avere un ruolo nell'area cardiovascolare
e che può esplicare un piccolo effetto sullo sviluppo della malattia
aterosclerotica. In particolare poi il contesto in cui questi geni sono
espressi ha un impatto sulla storia naturale del processo patologico in
questione. I geni candidati, inclusi anche quelli che codificano per i
fattori emostatici (ad es. per l'Interleuchina 6 e per il fattore alfa
di necrosi tessutale), sono coinvolti anche in altri fenomeni quali infiammazione,
dislipidemia, ipertensione, diabete, omocisteinemia ed obesità.
Di particolare rilevanza sono i lipidi e le lipoproteine, in quanto loro
possibili variazioni, soprattutto un aumento nei livelli di LDL, rappresentano
per-requisiti per l'aterogenesi. I geni coinvolti nelle anormalità
dei profili lipidici includono quelli codificanti per Apo E, recettore
per i cosiddetti "scavenger", lipasi epatica, lipasi lipoproteica,
proteina di trasporto degli esteri del colesterolo e il complesso apo
A1-CIII-AIV. Variazioni in tutti questi geni "candidati" possono
predire anche la risposta del paziente alla dieta e alla terapia farmacologica
(ad esempio è il caso dei geni che codificano per l'Angiotensinogeno
e per la alfa-adducina, una cui mutazione altera la risposta ad una dieta
e ad una terapia iposodica).
3)
LA PATOFISIOLOGIA
L'esistenza dell'aterosclerosi è nota ormai da più di 500
anni e viene considerata una condizione patologica da più di 150
anni. Numerosi studi hanno descritto questa malattia come un processo
diffuso e progressivo, con una distribuzione variabile e una sintomatologia
legata al distretto circolatorio interessato. Fattori che possono influenzare
tali differenze includono (1) la dimensione e la struttura dell'arteria
colpita, (2) il flusso ematico locale e regionale, (3) le eventuali alterazioni
nella microcircolazione.
L'aterosclerosi coinvolge numerosi processi correlati, inclusi i disturbi
del metabolismo lipidico, l'attivazione piastrinica, la trombosi, la disfunzione
endoteliale, l'infiammazione, lo stress ossidativo, l'attivazione delle
cellule della muscolatura liscia vascolare, un'alterazione del metabolismo
di matrice, il rimodellamento e i fattori genetici.
I fattori di rischio giocano un ruolo importante nelle fasi iniziali del
processo aterosclerotico e quindi rappresentano anche il riferimento principale
per la stima del rischio e il target primario per l'intervento terapeutico
finalizzato a prevenire un danno vascolare prematuro. Tra i più
significativi abbiamo soprattutto fumo, diabete mellito e dislipidemia
(livelli elevati di colesterolo LDL e livelli ridotti di colesterolo HDL,
ipertrigliceridemia).
L'attivazione piastrinica e la trombosi costituiscono componenti fondamentali
della aterosclerosi; la trombosi coronarica infatti si verifica spesso
in siti di rottura o di erosione della placca, in seguito alla quale il
collagene subendoteliale, il core lipidico e i fattori pro-coagulanti
come il fattore tessutale e il fattore di von Willebrand risultano esposti
al sangue circolante. Le piastrine aderiscono immediatamente alla parete
del vaso mediante le glicoproteine GPIa/IIb e GP Ib/IX. È importante
sottolineare che le piastrine sono una fonte ricca di ossido d'azoto NO
e che una deficienza in NO bioattivo è stata associata a trombosi;
sebbene quest'ultima sia ritenuta un processo critico nelle sindromi coronariche
acute, può rivestire un ruolo ancor più rilevante nel modulare
il rischio di eventi ischemici acuti in caso di malattia arteriolare periferica
(PAD).
L'endotelio vascolare viene oggi ritenuto un elemento centrale nel controllo
(1) dell'omeostasi vascolare, (2) del tono vascolare, (3) dell'apporto
di elementi nutritivi e della rimozione di scarti metabolici e (4) di
processi patologici quali l'infiammazione, la trombosi e la coagulazione.
L'azione regolatoria dell'endotelio avviene principalmente attraverso
la produzione di mediatori autocrini e paracrini tra i quali NO, prostaglandine,
fattori iperpolarizzanti di derivazione endoteliale, endotelina e angiotensina
II. Queste sostanze mantengono un equilibrio tra vasodilatazione e vasocostrizione,
tra trombosi ed azione anticoagulante, tra modulazione e infiammazione.
Tra questi mediatori, l'NO, sintetizzato dalla NO sintasi endoteliale
(eNOS o NOSIII), è un vasodilatatore molto potente, la cui azione
viene però controllata da vasocostrittori altrettanto potenti,
quali l'angiotensina II e l'endotelina.
In soggetti sani l'attivazione di eNOS porta a vasodilatazione, mentre
invece in soggetti con aterosclerosi si osserva, accanto ad una modesta
dilatazione dei vasi periferici, una potente vasocostrizione delle arterie
coronariche, con conseguente minore biodisponibilità di NO. Ciò
potrebbe contribuire a creare uno stato fisiologico favorevole a trombosi
e allo sviluppo di aterosclerosi. Infatti le cellule endoteliali partecipano
al reclutamento, all'adesione e alla diapedesi di leucociti nella parete
vascolare attraverso la produzione di chemochine, di citochine e di fattori
di trascrizione intracellulari, come il fattore nucleare KB e la proteina_1
attivatrice. In realtà questi processi rappresentano anche il punto
chiave della formazione di lesioni aterosclerotiche precoci. L'NO antagonizza
ciascuno di questi meccanismi, mentre invece una riduzione nella sua biodisponibilità
favorisce la comparsa di eterogenesi.
Numerosi sono ormai gli studi che dimostrano come processi infiammatori
giochino un ruolo rilevante nell'aterosclerosi; la comparsa di uno stato
infiammatorio è accompagnata dal contemporaneo accumulo di lipoproteine
LDL ossidate nella parete dei vasi. La cellula endoteliale esprime sulla
superficie numerose molecole di adesione, incluse le selectine P ed E,
la molecola di adesione intercellulare e VCAM1, le quali si legano ai
leucociti circolanti, attivandoli. Una volta all'interno della parete
dei vasi, i leucociti attivati rilasciano enzimi proteolitici e un ampio
numero di fattori di crescita e di citochine che degradano le proteine
di matrice e stimolano le cellule della muscolatura liscia, le cellule
endoteliali e i macrofagi. L'infiammazione può portare anche a
rottura delle placche aterosclerotiche e a trombosi.
Le placche vulnerabili sono caratterizzate da un grande core lipidico,
un sottile rivestimento fibroso e da cellule infiammatorie che costituiscono
lo strato più esterno. Numerosi studi hanno dimostrato che le metalloproteinasi
di matrice (MMPs) e altre sostanze espresse dai macrofagi causano una
degradazione del rivestimento, rendendo la placca più instabile
e quindi più suscettibile a rottura. L'esposizione poi dell'ateroma
sottostante e del fattore tessutale alle piastrine circolanti e alla trombina,
può portare alla formazione di un trombo.
L'eccessiva produzione di specie ossigeno-reattive (ROS) rappresenta un
importante processo patologico nell'aterogenesi. È stato infatti
dimostrato che ogni elemento che caratterizza un vaso aterosclerotico,
determina un aumento nella sintesi di ROS, soprattutto dell'anione superossido
(O2-), prodotto da cellule della muscolatura liscia vascolare, da cellule
endoteliali, da fibroblasti e da leucociti infiltranti. Queste specie
reattive interferiscono con la trascrizione di geni, danneggiano il DNA,
promuovono la sintesi di fattori di trascrizione per l'infiammazione e
soprattutto ossidano le lipoproteine LDL e spazzano via (scavenger) l'NO
prodotto dall'endotelio. Nelle lesioni aterosclerotiche sono infatti presenti
LDL ossidate le quali, inducono poi una serie di processi aterogenici,
quali la trascrizione dei geni pro-aterogenici, la produzione di metalloproteinasi
di matrice e di fattore tessutale, l'antagonismo nella sintesi di NO da
parte delle cellule endoteliali e la promozione di apoptosi delle cellule
della muscolatura liscia dei vasi. Inoltre l'azione di "scavenger"di
NO favorisce l'infiammazione, l'attivazione piastrinica e la vasocostrizione.
Le cellule della muscolatura liscia vascolare rivestono un ruolo centrale
nell'aterosclerosi. Una volta attivate da fattori di crescita, oppure
da un dannno o da citochine, queste subiscono una variazione di fenotipi,
che le porta a migrare all'interno della neointima. Stimolate dal fattore
di crescita e dalle citochine, proliferano e secernono proteine di matrice
ed enzimi. La placca aterosclerotica è costituita da elementi cellulari
e matrice extracellulare; quest'ultima occupa più del 50% del volume
dell'intera lesione ed è formata da glicosamminoglicani, proteoglicani,
collagene, elastina, fibronectina, vitronectina e trombospondina. Le cellule
della muscolatura liscia vascolare sono le maggiori responsabili della
produzione di queste proteine di matrice, ma una volta attivate, sintetizzano
metalloproteinasi di matrice che provvedono a degradare il collagene e
l'elastina con conseguente deposito dei prodotti di degradazione e comparsa
di fibrosi.
I "vasa vasorum" possono contribuire all'aterosclerosi. Appena
le placche si ispessiscono, si osserva infatti un aumento dei vasa vasorum.
Non è ancora chiaro se si tratti di una risposta alla crescita
della placca o se invece contribuisca a questa crescita.
La predisposizione genetica rappresenta un importante fattore di rischio
per l'aterosclerosi; in alcuni studi, infatti, circa il 50% del rischio
di malattia aterosclerotica viene attribuito a fattori genetici. È
ormai chiaro che si tratta di una patologia multifattoriale e, in quanto
tale, numerosi geni contribuiscono ad una sua suscettibilità. Attualmente
sono due gli approcci principali a cui la ricerca sta lavorando: (1) esaminare
l'espressione, le funzioni e le interazioni di geni in modelli del processo
aterosclerotico e (2) esaminare le popolazioni per variazioni genetiche
correlate a differenze nel tasso di incidenza di malattia aterosclerotica.
4)
LE TERAPIE MEDICHE
La diagnosi ed il trattamento dell'aterosclerosi, una patologia sistemica,
devono tener conto dei suoi meccanismi patofisiologici e delle sue localizzazioni
vascolari.
Aterosclerosi a livello carotideo
Nell'ambito dell'aterosclerosi, la malattia in sede carotidea identifica
i soggetti con un rischio aumentato di infarto miocardico fatale e non
fatale e di ictus. Le terapie mediche, che dovrebbero essere implementate
per ridurre la probabilità di ictus e di morte nei pazienti con
danno carotideo, includono quelle che modificano i fattori di rischio
e quelle che inibiscono la trombosi. Esiste una ampia evidenza che i farmaci
antiipertensivi, ipolipemizzanti e antiaggreganti riducono il rischio
di ictus.
In una meta-analisi di trias controllati e randomizzati, i trattamenti
antiipertensivi inclusi i diuretici e i beta-bloccanti, sono risultati
in grado di ridurre in modo efficace il rischio di ictus di circa il 40%.
Anche gli agenti ACE-inibitori diminuiscono la probabilità di ictus
nelle popolazioni ad alto rischio; un effetto, questo, che appare, in
alcuni studi, indipendente dalla loro azione ipotensiva.
Studi di prevenzione secondaria in soggetti ipercolesterolemici con coronaropatia
hanno evidenziato che la terapia ipolipemizzante con le statine riduce
il rischio di ictus. Da una meta-analisi di trias randomizzati su pazienti
ad alto rischio è emerso che gli ipolipemizzanti riducevano il
rischio di ictus fatale e non fatale del 22%. In soggetti con precedente
ictus o attacco ischemico transiente, l'aspirina riduce il rischio di
eventi cardiovascolari avversi del 23%. Una review di quattro studi di
cui tre confrontavano aspirina con ticlopidina e uno aspirina con clopidogrel,
ha evidenziato una riduzione del 12% di ictus a favore delle tiopiridine,
piuttosto che dell'aspirina.
La rivascolarizzazione della carotide viene indicata nei pazienti con
stenosi significativa e con sintomi rilevanti di ischemia cerebrovascolare
o ictus non debilitante. Il ricorso all'endarterectomia per trattare soggetti
con stenosi asintomatica resta ancora una questione controversa. Un trial
randomizzato ha evidenziato una riduzione del rischio di ictus o di morte
in pazienti trattati con endarterectomia caroritea, rispetto a quelli
sottoposti a terapia medica.
Aterosclerosi dell'Aorta
I danni all'Aorta correlati all'aterosclerosi includono l'occlusione,
l'aneurisma, la dissezione (aortica distale o di tipo B e prossimale o
di tipo A), l'ematoma intramurale e l'ulcera aortica penetrante.
Gli aneurismi associati al processo aterosclerotico si manifestano principalmente
nel tratto discendente dell'aorta toracica e nell'aorta addominale. La
conseguenza principale è la rottura dell'aneurisma, anche se, a
causa della concomitante presenza di aterosclerosi, circa il 60% dei pazienti
muore per altre cause cardiovascolari, principalmente per infarto del
miocardio (IM). L'inserimento di uno stent per evitare la rottura dell'aneurisma
è una tecnica sempre in evoluzione e rappresenta la scelta chirurgica
per eccellenza. I trattamenti farmacologici consistono in terapie finalizzate
a ridurre il rischio di IM e di morte, soprattutto abbassando i valori
di colesterolo e di pressione arteriosa.
Nel caso di una dissezione aortica si procede riducendo i valori pressori
e lo stress aortico mediante farmaci bloccanti beta-adrenergici spesso
usati in combinazione con nitroprusside.
Stenosi dell'Arteria Renale
La terapia farmacologica di una stenosi dell'arteria renale, evidenziata
attraverso una diagnostica per immagini, si focalizza sulla riduzione
della pressione sanguigna, oppure sulla preservazione dell'organo o su
entrambe, attraverso farmaci che inibiscono il sistema renina-angiotensina,
ovvero gli ACE-inibitori e i bloccanti del recettore per l'angiotensina.
Occlusione delle Arterie Periferiche (PAD)
L'approccio terapeutico in caso di PAD deve tener presente due considerazioni
fondamentali: (1) PAD rappresenta un marker di aterosclerosi sistemica
e di conseguenza, i pazienti presentano un rischio maggiore di IM, di
ictus e di morte; (2) i pazienti con PAD possiedono un fisico indebolito,
stanchezza cronica, claudicatio intermittente o ischemia a livello degli
arti inferiori. Le terapie dovrebbero essere finalizzate a ridurre gli
eventi cardiovascolari (ictus, coronaropatie, insufficienza cardiaca congestizia
ed insufficienza renale cronica), ovvero cambiare lo stile di vita, modificare
i fattori di rischio ed assumere farmaci antiaggreganti piastrinici e
ipolipemizzanti (soprattutto statine).
Alberico
L. Catapano e Alessandra Bertelli, Dipartimento di Scienze Farmacologiche,
Università degli Studi di Milano
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