Trigliceridi
e rischio di malattie cardiovascolari: valutarli a digiuno od in fase
post prandiale?
Nonfasting triglycerides
and risk of myocardial infarction, ischemic heart disease, and death in
men and women
Nordestgaard BG, Benn M, Schnohr P, Tybjaerg-Hansen A.
JAMA 2007;298:299-308 - Abstract
e diapositive
Fasting compared with nonfasting triglycerides and risk of cardiovascular
events in women
Bansal S, Buring JE, Rifai N, Mora S, Sacks FM, Ridker PM.
JAMA 2007;298:309-316 - Abstract
e diapositive
Commento:
Gli argomenti
a favore della trigliceridemia come fattore predittivo per la malattia
aterosclerotica sono molti, ma ancora incerti per i molti fattori confondenti
che si associano ai disturbi del metabolismo dei trigliceridi. I due nuovi
studi pongono l'accento sul significato della trigliceridemia misurata
in condizioni di non-digiuno ed arrivano alla conclusione che il peso
predittivo è forte e che non risente delle altre variabili confondenti,
a differenza della trigliceridemia a digiuno che viene ribadita avere
un peso predittivo piuttosto debole. I risultati di questi due studi sono
interessanti e non sono per niente inattesi, sia perchè alcuni
dati in tal senso erano già stati proposti in passato, sia perchè
le basi teoriche per giustificare l'importanza della misura della trigliceridemia
non a digiuno sono piuttosto forti. Basti pensare ad un fatto molto semplice
e cioè che la maggior parte della giornata (più dei 2/3)
la viviamo in una situazione che può essere definita come postprandiale,
con un livello di trigliceridi che è mediamente più elevato
di quello che si misura tradizionalmente dopo un digiuno di 12 ore. In
effetti i trigliceridi cominciano a salire dopo 2 ore dalla colazione
e ridiscendono verso i valori che si osservano a digiuno solo alle prime
ore del mattino. I trigliceridi misurati in qualunque ora della giornata
hanno pertanto delle buone probabilità di essere più rappresentativi
del quadro lipoproteico medio di quanto non lo siano quelli misurati a
digiuno. Le oscillazioni della trigliceridemia sono piuttosto ampie e
dipendono oltre che dalla composizione e dal carico lipidico dei pasti,
da altre variabili individuali quali, per esempio, sesso, età,
obesità, sensibilità periferica all'insulina e, ovviamente,
anomalie congenite o acquisite del metabolismo dei trigliceridi.. L'aumento
dei trigliceridi che si riscontra dopo il pasto scatena una serie complessa
di eventi come la produzione dei residui dei chilomicroni, la formazione
di LDL piccole e dense e la riduzione delle HDL. In più l'aumento
dei trigliceridi interagisce con il processo della trombosi attraverso
l'attivazione del fattore VII e dell'inibitore dell'attivatore del plasminogeno.
E' stato pure dimostrato che i residui delle lipoproteine ricche in trigliceridi
hanno effetti avversi sulla funzione endoteliale. A distanza di molti
anni abbiamo dunque nuovi elementi che ci consentono di rivalutare Zilversmit
che già nel 1979 aveva suggerito che l'aterogenesi era una malattia
che si sviluppava prevalentemente nel periodo postprandiale.
Il problema a questo punto sta nel definire quando e dopo che tipo di
pasto misurare la trigliceridemia. La standardizzazione del carico di
grassi e del tempo trascorso dal pasto è necessaria per un'informazione
attendibile, ma è poco proponibile nella pratica clinica. Forse
è meglio, come suggerisce McBride nell'editoriale di accompagnamento
dei due studi, l'utilizzo del colesterolo non-HDL (colesterolo totale-colesterolo
HDL) per la stima del rischio cardiovascolare globale. Il calcolo del
colesterolo non-HDL è semplice, misura la somma di tutte le lipoproteine
aterogene e pertanto incorpora l'informazione fornita dalla trigliceridemia,
anche se a digiuno. Il suo peso predittivo per il rischio di cardiopatia
coronarica è forte e, come è stato anche recentemente dimostrato
(Am J Cardiol 2006;98:1363-8 - Abstract
e diapositive), è maggiore di quello del colesterolo LDL.
Domenico Sommariva
- Divisione di Medicina Interna 1, Ospedale G. Salvini, Garbagnate Milanese
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